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Un olandese che non vola

di Vincenzo Borghetti
  L'olandese volante
Data di pubblicazione su web 18/03/2013  

 

Dopo il Lohengrin inaugurale, Der fliegende Holländer (L’olandese volante) è il secondo titolo wagneriano della stagione 2013 della Scala; l’ultimo allestimento risaliva al 2004, poco meno di dieci anni fa. La vicinanza delle date non tragga in inganno, L’olandese non è un’opera storicamente molto frequentata dal teatro milanese: secondo il programma di sala, dopo la prima rappresentazione nel 1893, ci sono state riprese nel 1931, 1959, 1966, 1988 e appunto nel 2004. Compresa quella attuale sono sette produzioni: un numero esiguo che sorprende, soprattutto se si considera che, rispetto alle opere successive, L’olandese si distingue per una durata contenuta (all’incirca tre ore, caso unico nel teatro di Wagner), pochi personaggi, e per un impianto drammatico-musicale più tradizionale (è un’opera a numeri chiusi, organizzata in arie, duetti, ensembles, e così via). Per diverse ragioni avrebbe quindi potuto trattarsi di uno dei drammi wagneriani più appetibili per il pubblico italiano. Ma forse il motivo della poca affezione verso L’olandese è da ricercarsi proprio in questa vicinanza alle forme del teatro musicale nostrano: sul terreno dell’opera a numeri Wagner aveva concorrenti agguerritissimi, e a lui gli Italiani chiedevano seduzioni ed emozioni diverse da quelle che già altri soddisfacevano.

 


Un momento dell'opera. Credits: Marco Brescia & Rudy Amisano
 

La regia del nuovo Fliegender Holländer è stata affidata ad Andreas Homoki. Si tratta di una coproduzione: l’allestimento proviene dall’Opernhaus di Zurigo (teatro di cui il regista è da qualche tempo il sovrintendente) e raggiungerà prossimamente Den Norkse Opera & Ballet di Oslo. Della leggenda nordica dell’olandese condannato a vagare sui mari fino a quando l’amore di una donna non gli permetta la pace della morte Homoki fa un dramma borghese. L’opera, di conseguenza, è tutta ambientata in interni. Siamo sempre nel Nord, ma negli anni Venti del Novecento; Daland non è un navigatore, bensì il proprietario di una rispettabile compagnia di navigazione, per cui tra le segretarie lavora anche sua figlia Senta. Il primo atto si svolge negli uffici di Daland: al posto dei suoi marinai ci sono adesso i suoi impiegati, che usano telegrafo e telefono per tenersi in contatto con le navi della compagnia incappate in una tempesta. In questi uffici compare all’improvviso l’olandese, un tipo misterioso, vestito di un lungo pastrano di pelliccia, dalle tasche piene di gioielli. Più che un’anima maledetta in cerca di redenzione, sembra un faccendiere in cerca di soluzioni per riciclare proventi illeciti. E Daland, da buon uomo d’affari, di fronte alla sua esibizione di ricchezza non esita a cedergli la mano della figlia Senta, e, con essa, una via sicura per risolvere una volta per tutte la sua “maledizione”. In questo contesto non c’è spazio per il povero Erik, il fidanzato ufficiale di Senta. È l’unico personaggio che la regia lascia con le caratteristiche del libretto: anche qui fa il cacciatore, vestito di velluto verde (scene e costumi di Wolfgang Gussmann), un ragazzino in abiti romantici che non ha letteralmente più niente da dire in un mondo dove contano solo le transazioni finanziarie.
 


Bryn Terfel (L'olandese) Credits: Marco Brescia & Rudy Amisano
 

Le idee di Homoki sono senza dubbio interessanti, e in alcuni casi trovano una convincente realizzazione scenica: penso alla citata tempesta all’inizio del primo atto vista attraverso lo sgomento degli impiegati della compagnia. Tuttavia la sua regia presenta alcuni aspetti irrisolti. Si sa, la scelta del realismo borghese crea ovvi inciampi per gli elementi meravigliosi e soprannaturali che la vicenda pure presenta. Per la tempesta iniziale, come dicevo, Homoki trova una felice soluzione. Lo stesso, però, non può dirsi della prima scena del terzo atto, quando, eliminati mare, vascello e spiriti dei marinai, e trasposto tutto all’interno di un ufficio, non si capisce perché il terrore assalga gli impiegati di Daland nel chiuso del loro luogo di lavoro, o perché bruci per autocombustione la carta geografica sulla parete frontale, né perché all’improvviso spunti dal nulla un guerriero africano.

 


Anja Kampe (Senta), Ain Anger (Daland).
Credits: Marco Brescia & Rudy Amisano
 

Nell’ottica di questa interpretazione borghese, non comprendo invece la presa di distanza di Homoki dagli elementi più umani del dramma. Non c’è, come c’era da attendersi, il sacrificio di Senta né la trasfigurazione degli amanti: Senta si uccide con un colpo di fucile, quello di Erik, quando l’olandese è ormai partito. Non c’è però neppure un legame evidente tra questa morte e la vicenda che la precede e la giustifica: l’opera si conclude con un omaccione poco raccomandabile che va via e una segretaria bionda che si spara. È probabile che l’intento di Homoki fosse di far riflettere sulla crudeltà o l’assenza dei sentimenti ai tempi delle banche, ma la sua rinuncia a ogni possibile coinvolgimento emotivo tra i protagonisti rende scenicamente problematica anche quella che poteva essere un’interessante chiave interpretativa.

 


Anja Kampe (Senta), Bryn Terfel (L'olandese)
Credits: Marco Brescia & Rudy Amisano
 

La riuscita della serata si deve all’esecuzione musicale, e, in modo particolare, all’interpretazione del baritono Bryn Terfel nel ruolo del protagonista. Fisico imponente da ex rugbista, voce vigorosa e rude, Terfel è stato l’interprete ideale per la parte dell’olandese, ed è stato, non a caso, il trionfatore della serata. Buona la prova di Anja Kampe come Senta, e di Dominik Wortig come timoniere. Convincente la scelta di affidare il ruolo di Erik a un tenore leggero come Klaus Florian Vogt: la sua vocalità belcantistica lo rendeva credibile come il fidanzatino poco promettente come amante appassionato che Senta, attratta da emozioni più forti, lascia per il (vocalmente e fisicamente) più “maschio” Terfel. Ain Anger è forse ancora troppo giovane per dare a Daland l’autorità vocale che il ruolo del padre richiederebbe. Buona, sebbene priva di slancio, la direzione di Hartmut Haenchen, che ha concentrato la sua attenzione sulla ricchezza dei colori orchestrali (l’orchestra e il coro – specie quello femminile - in splendida forma, come sempre di recente alla Scala).

 

L'olandese volante
Opera romantica in tre atti


cast cast & credits


Ain Anger (Daland)
Credits: Marco Brescia
& Rudy Amisano




 
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