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La Berlinale è un grande affare

di Roberto Giardina
  La Berlinale è un grande affare
Data di pubblicazione su web 17/02/2013  

BERLINO – “Der wilde Osten räumt ab” intitola la “Welt am Sonntag”, il selvaggio est fa il pieno alla Berlinale. Il romeno Child´pose di Calin Peter Netzer ha conquistato l' Orso d´oro, l´Orso d´argento è stato assegnato al bosniaco Un episodio della vita di un cacciatore di ferraglie di Denis Tanovic, storia di una famiglia rom, e al protagonista, il romeno  Natif Mujic, è andato l´orso per la migliore interpretazione maschile. Eccezione per la migliore interprete, la cilena Paulina Garcia, splendida in Gloria, una donna vogliosa di vita alla soglia dei sessant´anni. Una menzione per la sceneggiatura a Pardè dell´iraniano Jafar Panahi, film girato di fatto in clandestinità. La dittatura ha vietato a Panahi di lavorare e anche di andare a ritirare il premio, nonostante l´appello di Frau Angela Merkel.

Il festival di Berlino, come ogni anno, ha svolto il suo compitino ed ha premiato, non smentendo le previsioni, pellicole politicamente corrette, socialmente impegnate, ben girate, ben interpretate anche se non attrarranno pubblico nei cinema normali, a parte forse Gloria. Poco importa. Alla Berlinale comunque trionfa il cinema, perché Berlino e i berlinesi amano il cinema. Da sempre, da Weimar al “muro”, e alla riunificazione. Non avrà l´eleganza di Venezia, l´arroganza di Cannes, ma il festival vive nella sua città e con i suoi abitanti che non hanno paura di sentirsi provinciali. Fanno la fila sotto la neve per un autografo, e gli spettatori arrivano anche da fuori, grazie anche al fatto che la metropoli non è cara. La sezione per i giovanissimi vede il tutto esaurito. Si conquistano gli spettatori di domani, mentre altrove le sale rimangono vuote.    

 

Dieter Kosslick, il patron della Berlinale, 63 anni, è un maestro nel mischiare i generi, nel barcamenarsi con eleganza tra film commerciali, e pellicole per addetti ai lavori, che difficilmente il pubblico normale riuscirà a vedere. Diciamo, tra i soldi e la cultura. Ma il confine non è sempre netto. Il compromesso è sempre in agguato, con qualche sorpresa. Side effects con Jude Law è un buon thriller hollywoodiano, Elle s´en va con Catherine Deneuve sarà una favoletta con lieto fine, ma è deliziosa nonostante la sceneggiatura scricchiolante. Catherine è così bella che non serve neanche una storia, aveva detto di lei François Truffaut. Il film intellettuale snocciola luoghi comuni, e quello commerciale magari ha qualche idea che fa pensare. Treno di notte per Lisbona, tratto dal sopravvalutato best-seller di Paul Mercier, pseudonimo di un professore universitario berlinese, due milioni di copie solo in Germania, è un fotoromanzo vecchia scuola, improbabile e allettante. Perché no? Promise Land prodotto e interpretato da Matt Damon, è la solita storia buonista americana: i semplici contadini sapranno opporsi agli speculatori in cerca di gas sotto i loro campi? Non manca il lieto fine. Alle pellicole americane basta tagliare l´ultima sequenza per conoscere la verità. “Non ho incassato molto” ha ammesso Damon alla conferenza stampa “ma lo prevedevo. Chi tocca l´ecologia da noi negli States va incontro al fallimento. Però era una storia che volevo raccontare.”

 

Infine, Before Midnight di Richard Linklater ha chiuso la trilogia iniziata nel 1994 con Before Sunrise e continuata con Before SunsetJulie Delpy e Ethan Hawke invecchiano insieme con il loro amore cinematografico, si incontrano sul treno per Vienna nel 1994, si rivedono a Parigi nove anni dopo, e ancora un decennio si ritrovano divorziati e risposati in vacanza a Creta. E parlano, litigano, si riconciliano senza fine, per l´orrore dei cinefili che amano i film senza dialogo. Una trilogia che sarebbe piaciuta a Truffaut.   

 

La Berlinale è un grande affare per tutta la metropoli. I romani pagano per la loro Festa del Cinema, i berlinesi incassano. Walter Veltroni pagò mezzo milione di euro- così si dice- per consentire tre giorni di shopping a Nicole Kidman e farla vedere ai “poveracci” in periferia. Qui Dieter Kosslick, al comando dal 2001, non paga nemmeno un euro alle star. Chi vuole si paga la trasferta di tasca sua o della sua casa di produzione.

 

La Berlinale dà lavoro a 380 dipendenti, e serve da volano a 3300 aziende attive in campo cinematografico e televisivo. Frau Cornelia Yzer, senatrice all´economia, calcola che per ogni euro che il Land (Berlino è citta Stato) versa alla Berlinale in sovvenzioni ne ricava un euro e 60. La capitale ama il cinema non solo durante il festival ma tutto l´anno. In  nessun’altra città ci sono tanti cinema (93) e tanti spettatori: nove milioni e centomila, l´anno scorso, anche se qui come altrove le sale chiudono, negli ultimi anni sono scomparsi 14 cinema storici al centro, trasformati in ristoranti e grandi negozi d´abbigliamento. Ma le sale rimaste sono state modernizzate e sono comodissime. All´Astor, sulla centralissima Kurfürstendamm, un biglietto arriva a 16 euro, ma si guarda il film sdraiati su soffici divani, mentre se lo desideri una hostess ti serve un bicchiere di spumante, da pagare extra. E´ sempre esaurito anche se in una sala vicina lo stesso film costa cinque euro di meno.

Noi volevamo trasformare la gloriosa Cinecittà in terreno edilizio da rivendere a caro prezzo. In Prussia hanno salvato la loro Babelsberg, che si era ritrovata per qualche decennio nella parte orientale. Gli studios sono modernissimi, e attirano le produzioni americane. Un tempo c´era la Hollywood sul Tevere, quando i paparazzi davano la caccia a Liz Taylor e Richard Burton, impegnati a girare tra un amore e un litigio Antonio e Cleopatra. Oggi c´è la Hollywood sulla Sprea. Perché noi siamo più cari, se gli stipendi dei tecnici tedeschi sono più alti? Sempre pragmatici e cinici, i berlinesi hanno permesso a Scientology, cara a Tom Cruise, di aprire una centrale in città, anzi nel mio quartiere, e Tom si è comprato un attico a Charlottenburg ed è diventato mio vicino di casa. E procura lavoro a Babelsberg.

Per finire, un appunto cinematografico. Quest´anno non c´era neanche un film italiano in gara, ma si è reso omaggio a Tornatore. Nel 2012 avevano vinto Paolo e Vittorio Taviani con Cesare deve morire che batté in casa Barbara dato per favorito, storia di una dottoressa dell´est tentata di fuggire all´ovest. I tedeschi non l´hanno dimenticato, e lo “Spiegel” un anno dopo lamentava il “furto” compiuto dagli italiani. Barbara era solo un buon film, con un finale kitsch. La protagonista Nina Hoss è un´abbonata alla Berlinale ed era presente anche quest´anno nella unica pellicola tedesca in concorso: Gold di Thomas Arslan è la storia di un gruppo di emigrati della Germania alla ricerca dell´oro nel Klondike del 1898. Come girare un western prendendosi sul serio, dopo Sergio LeoneCorbucci e l´ultimo Tarantino. Così il pubblico finisce per ridere seguendo le peripezie dei loro compatrioti. Presentato come un sicuro aspirante all´orso d´oro, non ha avuto premi. L´unico orso, anzi una trappola per orsi, è quella in cui finisce uno dei protagonisti, il giornalista Müller. Gli amputano la gamba senza anestesia, uno dei tanti cliché del western, e lui prima di morire affida foto e taccuino a Nina pregandola di mandare il servizio alla sua redazione.

Ottimo professionista che conferma la regola: i giornalisti al cinema, se lavorano, fanno una brutta fine, come Kirk Douglas in Asso nella manica, preso a forbiciate da una vedova sdegnata dal suo cinismo, o William Holden in L´amore è una cosa meravigliosa. Corrispondente di guerra in Corea, proprio all´ultima inquadratura si ricorda della macchina da scrivere. Comincia a battere sui tasti, una farfalla gli si posa sulla spalla, e arriva una bomba. The end

 




 
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