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Romanticismo in Aspromonte

di Gianni Cicali
  Giorgio Pasotti ne "La voce del sangue"
Data di pubblicazione su web 12/06/2001  
Gli elementi non sono pochi: un giovane che scopre di essere un figlio adottato e va alla ricerca dei veri genitori; un "brigante" dai tratti romantici che riscatta la sua vita; luoghi esotici. Insomma, seppure riciclati e corretti, sembrano stilemi drammaturgici di una volta, invece appartengono a una fiction di oggi. La voce del sangue (Raiuno), come molti prodotti televisivi e cinematografici più o meno recenti, ricorre inconsapevolmente a meccanismi collaudati, come l'agnizione, o a tipologie romantiche, come il bandito.

Se si facesse un'analisi accurata e asettica di strutture e strategie drammaturgiche delle fiction televisive (siano esse soap operas o sceneggiati) probabilmente ci imbatteremmo nella Commedia dell'Arte, nel teatro romantico, nel genere larmoyant, nella pièce à sauvetage. Difficile distinguere, ma forse non troppo, quando questo sia il frutto di un'operazione culturale, o piuttosto il ricorso inconsapevole a una tradizione "geneticamente" acquisita. La voce del sangue, come il recente Il Commissario Montalbano devono molto del loro successo, tuttavia, sia a una nuova generazione di attor giovani sui generis bravi e con le facce pulite da ragazzi della porta accanto (come Giorgio Pasotti, protagonista della Voce del sangue, o Augello - Cesare Bocci - e l'agente Fazio - Peppino Mazzotta - del Commissario Montalbano), sia ad attori esperti e consumati.

Spiccano, però, i "comprimari" che recitano in dialetto. Un dialetto molto addomesticato e usato quale veicolo di esoticità e identità al tempo stesso, sebbene non nello spirito wagneriano della Figlia di Jorio di D'Annunzio. Vanno ricordati, perciò, coloro che del successo di queste fiction (La voce del sangue è stata seguita da sei milioni di spettatori) sono il tessuto connettivo, i famosi caratteristi di cui la nostra scena ha pianto per anni la scomparsa, invidiandoli agli americani.

Insieme a Pasotti recitano, non a caso, attori già visti nel Commissario Montalbano: Guja Jelo (nonna Rosina) era già nel Ladro di merendine della serie tratta dall'opera Camilleri, in cui insieme a Zingaretti ha dato alla tv uno dei più strepitosi duetti comico-grotteschi mai visti; mentre Marcello Perracchio (Don Marco) è il medico legale di Vigata. Giorgio Pasotti, con la sua inflessione nordica (in parte caratteristica della nuova generazione di attor giovani italiani, si pensi a Stefano Accorsi > Il ritorno dell'attor giovane), rappresenta l'elemento di estraneità che consente al pubblico settentrionale di vedere il selvaggio e bellissimo Aspromonte attraverso i suoi occhi. Il pubblico meridionale è spinto invece, con intento educativo, a identificarsi nel pastore-bandito-capomafia (il padre carnale di Michele, l'attore Giacinto Ferro) che, pur essendo un pentito, sfrutta la sua collaborazione per una vendetta d'onore. Un messaggio, invero, piuttosto ambiguo. Onorata come sempre, la Benemerita, con tanto di martire (ovviamente belloccio) nel finale.

Il regista Alessandro Di Robilant e gli sceneggiatori ricorrono a vecchi stilemi "frullandoli" non troppo maldestramente in chiave televisiva. Parte del successo di questa ultima fiction RAI si deve, oltre che alla mancanza di validi concorrenti sugli altri canali, alla buona ricostruzione dei sequestri di persona, dell'ambiente ostile, omertoso, esotico e affascinante dell'Aspromonte, e al giovane e credibile Giorgio Pasotti, la cui carriera nessuno potrebbe mai sospettare sia iniziata con film di arti marziali con Chow Yun-Fat. Il giovane attore, infatti, è campione mondiale di Wu Shu (di cui dà prova nel videcolip di Elisa), e a diciannove anni andò in Cina per apprenderne i segreti (si è laureato all'Università dello Sport Pechino, per poi studiare recitazione a Los Angeles).

La voce del sangue

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