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Non siamo soltanto spettatori

di Lorenzo Galletti
  Sono soltanto animali
Data di pubblicazione su web 04/12/2012  
                                 

Il nuovo spettacolo di Luciano Colavero, in scena al Teatro delle Passioni di Modena, prende il titolo da una riflessione di Theodor Adorno sulla Shoah. Una frase che angosciosamente aspettiamo di sentire scandita dalla voce di un ufficiale nazista o di un qualche scienziato impegnato a lavorare alla “soluzione finale”: «Sono soltanto animali». Ma il lavoro registico e drammaturgico (condotto da Colavero a quattro mani con Federico Olivetti) ha un taglio diverso da quello a cui siamo abituati quando si parla della tragedia dei campi di sterminio, e procede per scarti continui. Così, quando compare il medico a spiegarci la teoria scientifica alla base della Endlösung der Judenfrage, ci gela la leggerezza con cui spiega: «Perché sperimentare sui topi? Siamo forse topi?». E ancor più straniante risulta la perfidia con cui ci tranquillizza languido: «Perché vogliamo la vostra perfezione».
 


 

Sei diversi momenti scandiscono i tempi di uno spettacolo mirabilmente sostenuto da Antonio Tintis, impegnato, solo in scena, in una possente e faticosa prova d’attore. Lo spazio ideale del piccolo palcoscenico modenese è diviso in due da Alberto Favretto, tra dentro e fuori la «fortezza» (come se nel lager ci fosse qualcosa da difendere!), ma anche tra, rispettivamente, il passato e il presente. Di qua una sedia bianca, di là un ordinato accumulo di legni e ferraglie, pareti di metallo attraversate da lame di luce, forme bronzee che ricordano il torace di un uomo sotto il peso della fatica e del dolore.

 

Le vicende si alternano e giustappongono in un montaggio quasi cinematografico, per cui Colavero si avvale di tutte le possibilità mimetiche offerte dalle scene di Favretto. In questo spazio-tempo si muove Antonio Tintis, entrando e uscendo, costruendo in diretta il senso dello spettacolo con quella che il regista ha definito in maniera calzante una «polifonia per voce sola», osservando ogni volta davanti a sé le tetre ombre dei personaggi che ricompongono le diverse vicende. Passando in un istante da prigioniero a oppressore, ci racconta con ironica verità la tentata fuga di alcuni deportati, poi con calma le s-ragioni di un medico nazista; senza soluzione di continuità, guidati solo dai cambi di colore della voce di Tintis, si assiste poi al confuso dialogo tra un ebreo (forse un sopravvissuto) e un ex ufficiale, che si scambiano posizione fino a confonderci su chi sia il prigioniero e chi la guardia. Per finire con il siparietto delle mogli di due tedeschi che lavorano all’interno del campo, rappresentate da due pezzi di gesso che l’attore muove come marionette. È forse in questo micro episodio che si annida il senso più fondo della messinscena: il distacco meschino delle due donne è lo stesso che minaccia anche l’uomo d’oggi e che rischia di colpire chiunque assume una posizione defilata e colpevolmente disinteressata. L’ignoranza, pericolosa allora, lo è altrettanto oggi, quando la maggior parte della popolazione mondiale è nata dopo la chiusura dell’ultimo campo. Non si tratta di non dimenticare, quanto di combattere l’egoistica e limitatissima idea che sta alla base della frase: «Se io ti taglio a te ti fa male? No!», seguìta a ruota dall’idea comoda (per quelli fuori) e “umanitariamente” confortante che anche a star dentro «poi ci si abitua a tutto».

 


 

Sono soltanto animali non è uno spettacolo per chi chiede al teatro di allontanarlo per qualche ora dalla realtà; alla realtà inchioda invece i suoi spettatori, e consegna loro un’ulteriore consapevolezza di cosa è stato Auschwitz. Lo sguardo dell’attore, consapevole di essere al sicuro nello spazio del presente, si posa a lungo sui luoghi della prigionia; poi smaschera brechtianamente i protagonisti. Così facendo apre un’ampia breccia nel muro del tempo che ci allontana dai tragici anni dello sterminio e, pur senza pronunciarne in scena le parole, ci avverte con Zygmunt Bauman che «l’Olocausto non è stato altro che un raro, ma tuttavia significativo e affidabile, test delle possibilità occulte insite nella società moderna».

                               

Sono soltanto animali
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