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Le parfum de la merde

di Assunta Petrosillo
  C'è del pianto in queste lacrime
Data di pubblicazione su web 03/10/2012  

A sipario già aperto – nel teatro della sceneggiata partenopea – ci troviamo di fronte a Edward mano di forbice, dai lunghi e taglianti artigli, vestito con giubbotto di pelle nera e borchie, seduto su un letto/gabbia al centro della scena. Nel buio della sala intona’O sole mio, mentre gradualmente sul fondo in un cunicolo stretto e claustrofobico dieci personaggi di spalle battano le mani sul muro. La favola che sta per iniziare non è quella romantica di Edward/Depp ma è una favola nera, cupa, fatale.

Il regista partenopeo Antonio Latella trasforma i personaggi della sceneggiata napoletana “Isso, Essa e ‘o malamente” in insetti voraci, che non solo si divorano a vicenda, ma infettano tutto ciò che toccano, degradando i sentimenti, le anime. Gli enormi insetti appoggiati sul corpo degli attori sembrano dare forma all’immaginario kafkiano. L’insetto si sostituisce all’uomo, degradando e depauperando anche la ricchezza espressiva della lingua napoletana. In quel cunicolo stretto e angusto – gli attori/insetti – si accoppiano, lottano, fino ad uccidersi senza alcuna pietà.


La storia prende spunto da Lacrime napulitane  nella quale Salvatore (pendolare fra Milano e Napoli) sospetta che la moglie Angela (ex cantante) abbia una relazione con un camorrista. Salvatore si convince dell’adulterio e dopo aver allontanato di casa la donna, scappa in America. A causa di un incidente capitato alla figlia Assunta, ritornerà a casa.

Linda Dalisi e Antonio Latella riscrivono la storia e la piccola figlia, in scena solo evocata, è malata. La madre tradisce il padre, ma a scoprire il malfatto sarà proprio la piccola figlia che prima di morire ucciderà tutti con una scarica di kalashnikov. Gli attori/insetti spaziano dal gergo napoletano a frasi shakespeariane e tra i tanti, una di loro, ricorda Lady Macbeth ossessionata dalla smania di ripulire l’onta del tradimento.

A differenza della ‘classica’ sceneggiata dove tutto è immobile, – e dove si innescano sempre e ciclicamente gli stessi meccanismi drammaturgici – qui si assiste ad una schizofrenica corsa in un cunicolo senza via di uscita o di salvezza. Tutto è ripetuto all’infinito: le battute, i gesti, le strofe di alcune canzoni neomelodiche, in maniera ossessiva, martellante.  


Ma la sciagura, la miseria non appartiene solo a quegli esseri immondi e allora si leva un grido disperato a Dio, per questa città, Napoli che “chiagne, chiagne e che addeventa comme ‘nu ciardino abbandonato, chino ‘e cose fracete e fetose”.

Molto intense le interpretazioni delle canzoni Mia cara madre e Lacrime napulitane, divertente e di effetto risulta l’inserimento della canzone Ragione e sentimento di Maria Nazionale e Dove sta Zazzà e Comme facette mammeta.

Per chiudere si fa ricorso all’altro stereotipo napoletano: il presepio. I pastori lasciano il posto a giganti teste di resina: quella di Osama Bin Laden incoronato re, e di un Cristo detronizzato, fino ad un bambinello ammazzato a suon di kalashnikov. Un presepio moderno, misero e putido, dal ‘parfum de la merde’, che devasta la società contemporanea.





C'è del pianto in queste lacrime
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