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Quando il gioco è troppo scoperto

di Elisa Uffreduzzi
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Data di pubblicazione su web 07/09/2012  

 

Settanta minuti di proiezione che sembrano infiniti. Lilia – non sappiamo chi sia – torna a Bruxelles dopo tre mesi di viaggio alla ricerca di sé. Strada facendo incontra una figura a lei speculare (un iraniano che dopo quarant’anni torna nella città belga). Come egli sta andando a trovare senza preavviso vecchi amici che non sa se e quanto saranno felici di rivederlo, così lei è diretta dal suo fidanzato, che da un mese non ha più notizie di lei e del quale quindi non è in grado di prevedere la reazione. Quando la sera lascerà l’appartamento del ragazzo, un brutto incidente porrà fine ad ogni incertezza, intrecciando la sua storia con quella di alcuni ragazzi diretti in discoteca, storditi dalla droga.

 


 

Vagamente moralista, la trama decisamente sconclusionata viene aggravata dall’andamento sinusoidale tra flashback e flashforward, che appesantisce senza motivo la narrazione. Forse nel disperato tentativo di rendere interessante un film del tutto inutile, tanto quanto le scene di “sesso senza amore” – concetto tediosamente ribadito in tutte le salse dalla sceneggiatura – che tappezzano il film di falli e seni: d’accordo, il fine è quello di trasmettere il senso di vuoto che provano i personaggi, consapevoli della fine della loro liaison, eppure incapaci di porvi fine. Ma francamente dopo un po’ sembra di assistere sempre alla stessa scena, che nella reiterazione perde in efficacia e acquista in noia. Il personaggio del ragazzo di Lilia invece di commuovere per i suoi sentimenti feriti, appare perfino ridicolo nelle sue lamentele da femminuccia, con tanto di broncio.

 

Tra i film della 27ª Settimana Internazionale della Critica, quello di Tom Heene risulta piatto, nonostante le inquadrature palesemente pensate per stupire il pubblico. Quando il gioco è troppo scoperto non convince e finisce per agire contro il suo stesso interesse.



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