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Cinico ma non troppo

di Luigi Nepi
  È stato il figlio
Data di pubblicazione su web 05/09/2012  

 

Dopo otto anni dallo pseudo-documentario Come inguaiammo il cinema italiano – La vera storia di Franco e Ciccio (2004) e a nove dall’ultimo film girato con Franco Maresco, Il ritorno di Cagliostro (2003) (entrambi passati, a vario titolo, all’interno delle rispettive Mostre del Cinema di Venezia), Daniele Ciprì torna al Lido con la sua prima opera da “solista”: È stato il figlio, tratto dall’omonimo romanzo di Roberto Alajmo.

 

Anche se la volontà del regista di rompere con un certo passato per iniziare un proprio percorso creativo è visivamente evidente, la trama di È stato il figlio è quanto di più cinico si possa pensare: Busu (Alfredo Castro) è un pover’uomo che si guadagna da vivere in un ufficio postale, facendo le commissioni per chi non ha tempo di aspettare. Quando un incidente scuote l’apatia di quell’ufficio lui comincia a raccontare la storia di un altro incidente, quello della famiglia Ciraulo, la cui vita priva di prospettive viene stravolta dall’uccisione casuale della piccola e vivace Serenella. La tragedia si trasforma in opportunità per la famiglia che chiede di accedere al fondo per le vittime di mafia, 220 milioni di lire è il risarcimento concesso. Tutti cominciano a fantasticare su cosa fare di quei soldi e a vedersi come dei signori che vanno al cantiere in Mercedes, il risarcimento però tarda ad arrivare perso nei prevedibili meandri della burocrazia italiana, ma sarà davvero un’occasione di riscatto?

 



Abbandonato il bianco e nero Ciprì recupera il grande lavoro di collaborazione fatto sulla fotografia dei primi film di Roberta Torre, caratterizzando l’immagine del film, o meglio del racconto di Banu, con una luce carica di rossi scuri («Ho scelto il tono delle vecchie pellicole Agfa della mia infanzia») molto stilizzata ma non innaturale, che rende con efficacia la giusta distanza temporale tra il presente di Banu e il passato della famiglia Ciraulo. Pur essendo chiara la volontà si rompere con un passato fin troppo ingombrante (il divorzio da Maresco sta avendo strascichi legali ancora non risolti), Ciprì non dimentica di omaggiare la tv cinica dei suoi esordi per cui alcuni ambienti, i muri e le discariche dove si muovono i protagonisti richiamano alla memoria quelle desolanti lande suburbane rese famose da Blob e Fuori orario, ed anche alcuni personaggi sembrano usciti dallo stesso contesto: “l’uomo nero” con il bastone che non si muove mai dal cortile del condomino dei Ciraulo e che nessuno sembra notare, oppure Busu che per il regista «ricorda molto Tirone, il ciclista», o ancora il più attento di coloro che ascoltano la storia di Busu che si scopre essere sordomuto (un irriconoscibile Pier Giorgio Bellocchio).

 



In questo contesto di palesi mostruosità, dove la bambina è l’unico elemento davvero bello e non a caso viene uccisa, si muove fin troppo a suo agio Toni Servillo nei panni del capofamiglia Nicola. L’attore, per la prima volta impegnato al cinema in un ruolo comico-grottesco, ha detto di aver preparato il personaggio facendo un “Frankenstein” di persone che conosceva, un “Frankenstein” che, però, finisce per caricare un po’ troppo il suo approccio imitativo al personaggio stesso, tanto che alcune posture, alcuni atteggiamenti, alcune reazioni e persino alcune sue battute, si elevano così tanto dal tono tenuto degli altri attori da farlo sembrare più un primo attore di teatro che il protagonista del film.

 

Per il resto È stato il figlio è un film divertente anche se procede un po’ a fasi alterne: dopo un folgorante inizio, che contiene anche un accenno di musical, si dilunga fin troppo nelle pieghe dell’attesa operosa dell’arrivo del denaro, per arrivare all’improvvisa, quanto attesa, accelerazione finale in cui la bravissima Aurora Quattrocchi (la madre di Nicola), si prende letteralmente il quadro con un primissimo piano che segna i destini di tutti i personaggi.

 



È stato il figlio restituisce un quadro impietoso, non solo del sud (talmente uguale a se stesso da sembrare perfettamente plausibile l’ambientazione palermitana girata nella periferia di Brindisi), ma del periodo che stiamo vivendo, dove l’ossessione per la “roba” è la stessa dei personaggi di Verga e ne conserva lo stesso valore retorico, segno che le società ed i modelli economici che si sono susseguiti in oltre un secolo si appoggiano su un impressionante immobilismo culturale.

 

Ciprì, grazie anche a qualche omaggio di troppo a Tano da morire (la sequenza del sogno di Nicola alla guida del Mercedes su un trasparente di cartoline e icone trash di Palermo si poteva francamente evitare) diluisce il cinismo insito nella storia raccontata fino a far quasi dimenticare la terribile causa scatenante di tante miserie e forse proprio in questo è stato immensamente cinico.

 

 

È stato il figlio
cast cast & credits
 

La locandina

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 





 

 
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