Scegliere
il film per aprire un concorso importante come quello della Mostra dArte
Cinematografica di Venezia non è mai semplice, ancor meno se alla sua direzione
è tornato, dopo otto anni, un “nuovo” direttore, partire con il piede sbagliato
è un rischio che può compromettere il giudizio su tutto il festival, così come
bruciare leventuale capolavoro in apertura può nuocere allo stesso film, che
può finire per essere “dimenticato” dai giurati (un po come è successo lo
scorso anno per Carnage di Polanski). La scelta, alla fine, è
caduta su Izmena (Tradimento) del russo Kirill Serebrennikov, un autore che, almeno
sulla carta, offriva le garanzie per unapertura senza troppe ansie, essendo ancora
piuttosto giovane (classe 1969) e potendo vantare un curriculum di tutto
rispetto dalla frequentazione dei festival di mezzEuropa (nonché la vittoria al
primo Festival di Roma, nel 2006, con Playing
the Victim). Una scelta che si è rivelata, tutto sommato, corretta, visto
che, pur non trattandosi della sorpresa della Mostra, Izmena è comunque un buon film che contiene qualche passaggio
decisamente molto interessante.
La
storia inizia nello studio piuttosto modesto di una cardiologa che rivela al
paziente che sta visitando che i rispettivi coniugi hanno una relazione; comincia
così un rapporto “patologico” tra questi due cuori feriti, lei, moglie
decisamente trascurata, conduce lui nei luoghi dei due amanti, ma lui (che in
famiglia è inaspettatamente violento) rifiuta di credere che la premurosa ed
amorevole madre di suo figlio possa essere capace di tanto. Dopo che i due
traditi cercano, inutilmente, una fin troppo prevedibile vendetta in un
rapporto sessuale nello stesso hotel dei traditori, la storia subisce unimprovvisa
accelerazione verso il thriller e il giallo dove, chiaramente, niente è come
sembra, neanche la morte.
Con
Izmena Serebrennikov, pur senza mai
dichiararlo apertamente, rende un evidente omaggio al cinema di Hitchcock e
soprattutto a La donna che visse due
volte: la stessa protagonista (una Franziska
Petri algidamente perversa) risulta una sorta di clone di Kim Novak, mentre lo sviluppo narrativo
si avvita su se stesso come una di quelle spirali che risucchiano James Steward. Da buon regista teatrale
lascia molto spazio alla recitazione ed ai movimenti degli attori, limitando il
montaggio ed allungando le inquadrature fino a realizzare numerosi
pianisequenza, alcuni dei quali davvero notevoli, per come riesce a muovere la
macchina da presa e avvolgere la scena (luscita della coppia dallo studio
medico è esemplare in questo senso); in queste inquadrature Serebrennikov sceglie,
giustamente, di non cercare la perfezione dellimmagine a tutti i costi e di conservare
quelli che possono sembrare piccoli errori di messa a fuoco, facendoli così diventare
volute ed apprezzabili sprezzature.
A proposito di sprezzature è interessante
il lavoro che Serebrennikov fa sulle tante superfici lucide che ricoprono i
nostri edifici moderni, facendoli diventare una continua serie di strani specchi
che deformano e moltiplicano le figure dei protagonisti a loro volta multiple e
deformate. Ma, come ho già anticipato, Izmena
non è certo un capolavoro e presenta qualche limite evidente, la stessa scelta
di affidarsi in maniera insistita a inquadrature molto lunghe non risulta
pienamente sfruttata nelle sue potenzialità filmiche, infatti, tradendo le sue
origini teatrali, Serebrennikov troppo spesso rinuncia ad una naturale
profondità di campo, preferendo stringersi sui volti e sui corpi degli attori,
in quello che diventa un semplice montaggio interno allinquadratura stessa.
Anche la struttura ferrea del racconto costringe il regista a cercare soluzioni
che, sulle prime, sembrano originali ed intriganti (quasi lynchane), ma che poi
trovano una così banale spiegazione narrativa che il loro fascino ne risulta
irrimediabilmente compromesso, e tornano, mestamente, al livello di semplice
trovata.
In
definitiva, per far decollare davvero il film, a Serebrennikov è mancato solo
un po di coraggio e ha preferito non osare confidando più nei suoi attori che
nelle sue capacità di regista. Che abbia avuto ragione lui?
|
|