Vedere
unantologia coreografica scelta come il Grand
Pas Classique, interpretata dai ballerini dellOpéra di Parigi, è un raro
privilegio specie se si assiste al felice connubio tra una selezione dei più
celebri pezzi del repertorio classico e la perfezione estetica ed esecutiva
della scuola francese. Disquisire quindi
sulla consistenza di un carnet tanto
paludato e sulla bravura dei singoli interpreti o sulla presenza di eventuali
incrinature, parrebbe cosa oziosa e superflua.
Eppure, anche a così alti livelli artistici e anzi proprio in virtù di
questo, è lecito e doveroso saggiare con cura le componenti di una serata tanto
prestigiosa e di indubbia riuscita.
Il
Gala, composto di dodici pezzi scelti, ha sapientemente alternato a brani più
inflazionati, tratti da balletti tardo-romantici e classici come La Sylphide, Giselle, Il lago dei cigni,
Coppélia, Romeo e Giulietta, Don
Chisciotte e La morte del cigno,
coreografie più recenti e intrise di un gusto indubbiamente più moderno, quali Arlesienne, Adagietto, Arepo ed Études.
Muriel Zusperreguy e Josua Hoffalt
La
serata si è aperta sulle note composte da Herman Severin von Lovenskjold,
coreografate da August Bournonville e qui danzate da Marine Ganio, nel ruolo della Sylphide, al fianco di Simone Valastro, interprete di James. Il
Pas de Deux eseguito in questa
occasione si caratterizza per un calibrato equilibrio tra pantomima e
coreografia vera e propria. Briosa, ricca di piccoli e grandi salti, nella
versione danese del balletto qui riproposta, questultima si differenza
nettamente dalla versione francese di Filippo Taglioni e si adatta certo molto
più facilmente al gusto del pubblico moderno. I due splendidi ballerini
dellOpéra interpretano magistralmente i personaggi scaturiti dalla fantasia di
Charles Nodier e se la variazione maschile tradisce qualche trascurabile
imprecisione nella chiusura dei tour en
lair, quella femminile risulta senzaltro pulita e lieve come da manuale.
I costumi scelti sono quelli depositati dalla tradizione col classico tutù
bianco dalle ali posticce per linterprete femminile e il kilt scozzese per
James, allineandosi così alle attese del pubblico.
Nel
successivo estratto ballettistico, la bellezza diafana di Muriel Zusperreguy si confà alle movenze romanticamente atteggiate
della versione di Giselle rivisitata
da Marius Petipa (1884). Accanto a lei, Josua
Hoffalt è Albrecht, nel Pas de deux estrapolato
dal secondo atto: un brano coreograficamente più rarefatto, bello in senso
classico e più spostato sulla staticità delle arabesques sostenute fino al fuori peso, che sul dinamismo dei
salti.
Segue
il Pas de deux finale da Coppélia, qui eseguito nella versione di
Mikhail Baryshnikov, vivace e brillante nellinterpretazione di Mathilde Froustey, la cui verve esecutiva è entusiasmante. Ne è
degno partner François Alu, un
magnifico Franz, che si distingue indubbiamente per larmoniosa sicurezza dei
movimenti e lelevazione dei salti, che più avanti nel corso del Gala diverrà
dirompente. Insieme costituiscono la coppia più convincente tra quelle proposte
dalla serata.
Myriam Ould Braham e Florian Magnenet
Chiude
la prima parte dello spettacolo Arlésienne:
una scelta particolarmente azzeccata, quella di stemperare il manierismo del repertorio
romantico nella partitura coreografica neoclassica di Roland Petit (1971). Delphine Moussin, Étoile uscente de
lOpéra de Paris, è Vivette accanto ad Alessio
Carbone (Frédéri). Le atmosfere provenzali evocate dalla musica di Georges
Bizet e richiamate visivamente dai costumi, costituiscono lhumus che consentì a Petit di coltivare
una coreografia che gioca con il concetto tradizionale di passo a due per
creare qualcosa di affatto nuovo e antico insieme. Il dramma
psicologico-sentimentale dei due amanti protagonisti viene tradotto in danza
attraverso il vocabolario coreutico accademico, rivisitato in chiave moderna mediante
limpiego di flex, off-balance, pantomima, contrazioni delladdome
e aderenza alla musica fino al limite del Mickey
Mousing cinematografico. Lesperienza scenica di Delphine Moussin, nella
sua fisicità incredibilmente espressiva, le consente di dare enfasi al singolo
gesto, facendone così linterprete ideale di parti più drammaticamente
connotate, come anche – nella seconda parte della serata – La morte del cigno, magnifico capolavoro dinterpretazione
drammatica, oltre e prima che coreografico. Lassolo di Fokine sulle note di
Camille Saint-Saëns, nel disegno di questa elegante serata di gala, rappresenta
unideale integrazione al Lago dei cigni,
del quale i due estratti in programma fanno una sorta di leitmotiv che conferisce unità e coerenza alla selezione
coreografica nel suo insieme. Il Pas de
deux del Cigno Nero (dal III atto de Il
lago dei cigni), insieme a quello del Cigno Bianco, dal II atto, sono i due
brani “disegnati” da Marius Petipa e Lev Ivanov sulle melodie di Pëtr Il'ič
Čajkovskij, qui eseguiti da Myriam Ould
Braham, recentemente nominata “Étoile” del Ballet de l'Opéra. Né è
difficile comprenderne le ragioni, considerando lesecuzione di indubbia
abilità tecnica di cui ha dato prova nel corso della serata ravennate,
trasmettendo una sicurezza che non ha lasciato spazio a incertezze, sebbene sia
lecito rilevare che non vi è sufficiente scarto tra linterpretazione del cigno
nero e quella del cigno bianco: due ruoli dal temperamento opposto, nel contesto
narrativo dal quale derivano. Al suo fianco Florian Magnenet, premier
danseur, è Siegfried, lelegante partner qui “sacrificato” da
unorchestrazione coreografica nettamente sbilanciata sul ruolo femminile.
Nella variazione maschile che accompagna il Pas
de deux del cigno nero, lo spostamento durante lesecuzione dei giri alla
seconda lo penalizza rispetto alla più “pulita” Ould Braham, tuttavia fanno da
contraltare a questa pur trascurabile imprecisione larmonia di movimento e la
maestria con le quali sostiene e accompagna la ballerina nel Pas de deux del Cigno Bianco in
particolare, costituendo così il perfetto completamento dellimpeccabile esecuzione
femminile.
Fa
il paio con il brano estratto da Giselle,
per lestetica del movimento di stampo romantico, il Pas de deux cosiddetto “del balcone”, tratto dal I atto del Romeo e Giulietta, qui rappresentato
nella versione di Rudolf Nureyev (1978-80), che più ampio spazio lascia alla
parte maschile – si pensi ad esempio allampio manège – risultando dunque più equilibrata nella distribuzione dei
ruoli. Per una tale gestualità, altrettanto eterea e rarefatta che quella di Giselle, non a caso gli interpreti
designati sono gli stessi Muriel Zusperreguy e Josua Hoffalt. Per chi ha
memoria di interpretazioni più mature e drammatiche, la Giulietta vista in
questa occasione risulterà forse eccessivamente gaia e civettuola, il che tuttavia
non necessariamente costituisce una nota di demerito.
Mathilde Froustey e François Alu
Nonostante
una vistosa “sbavatura”, Mathilde Froustey ha unespressività pregevole che ben
si adatta alle parti brillanti come la già menzionata Swanilda in Coppélia e come quella di Kitri nel Don Chisciotte coreografato da Marius Petipa,
del quale vediamo qui rappresentato il celebre Grand pas de deux, ricco di virtuosismi sia nel ruolo femminile che
in quello di Basilio, per loccasione impersonato da François Alu. Questi
strappa unovazione al pubblico entusiasta, ammaliato dalla sequela di salti
nei quali vanta ancora una volta unelevazione e una nitidezza dei movimenti
raramente viste in questa misura.
Anche
la seconda parte della serata si è dipanata secondo la felice alternanza di
brani più inflazionati e dal gusto romantico e manierato, a coreografie più
innovative e meno note come Adagietto del contemporaneo Oscar Araiz, che si
distingue nettamente allinterno del programma fin dai costumi: le aderenti
tute azzurre originali. Prese inconsuete, simmetrie ed erotismo latente
completano il quadro inserendo questo gioiello tra i capolavori della coreutica
novecentesca, affidato per questa serata allintensa danza di Marine Ganio e
Simone Valastro.
Non
poteva mancare tra i maestri del novecento Maurice Béjart, qui declinato nella
variazione di Mephisto tratta da Arepo
(anagramma di Opéra), trascinante assolo sfortunatamente dimenticato del
coreografo francese. Sulla musica dal sapore gitano composta da Hugues Le Bars,
Alessio Carbone è il sulfureo primo ballerino che ammalia il pubblico in una
sorta di flamenco rivisitato, fatto di un continuo oscillare tra movenze più flessuose
e scatti, scanditi dal marcato ritmo in sottofondo. La coreografia alterna a
una base di matrice accademica, passi più liberi da quei canoni, semmai “schiavi”
– per così dire – del ritmo percussivo concepito da Le Bars. È Carbone
senzaltro la “punta di diamante” di questa serata: con le sue interpretazioni
ricche di pathos, in entrambe le
coreografie da lui danzate dimostra di essere un buon interprete drammatico
oltreché un ottimo ballerino.
Chiude
la serata Études, brano corale
coreografato dal danese Harald Lander, che vede coinvolti tutti i danzatori
interpreti della serata in una serie di virtuosismi che ne esaltano la perizia
tecnica e larmonia esecutiva. Lensembe
finale è così il trionfale spettacolo per gli occhi che il pubblico (si) aspettava,
dove il balletto accademico si fa rigoroso più che mai per far mostra di sé e
il virtuosismo raggiunge lapice dellautocompiacimento. Sulle melodie cariche
di enfasi di Carl Czerny, avvicendandosi in proscenio, ciascuno esegue la parte
che più gli si addice ed è ancora una volta François Alu a suscitare lo stupore
del pubblico, con i suoi strabilianti salti.
In
conclusione, la serata di Gala ravennate ha visto svolgersi sul palco del
moderno Palazzo Mauro De André un mélange
di balletti equilibrato nella scelta dei pezzi: ne risulta un raffinato
spettacolo che è riuscito a sfumare la tradizione nella modernità, impedendole così
di risultare stucchevole. |
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