In un festival dal sapore
internazionale è la tradizione a vincere. È il teatro di Eduardo – con
la sua scrittura, il suo umorismo, la sua vivacità, il suo realismo – a fare
scuola. E Francesco Saponaro, classe 1970, è degno erede di tale
drammaturgia, di tale linguaggio.
Nella fucina di Eduardo, il
Teatro San Ferdinando, rivive un grande e sempre attuale classico. Il testo di Io, lerede – del 1942, inserito nella Cantata dei giorni pari – si concentra
sul tema della beneficenza, descritta come una pratica vantaggiosa più per chi
la esercita che per chi la riceve. Si tratta di una critica alla società
borghese che Saponaro attualizza in maniera sapiente. Lo spettacolo approda a
Napoli per chiudere la prima parte del Napoli Teatro Festival Italia, dopo aver
riscosso un successo di critica e pubblico al Teatro Maria Guerrero di Madrid.
Sul palcoscenico − che fu
del grande maestro partenopeo − si muove una straordinaria compagnia spagnola che
attraverso una sapiente interpretazione rende omaggio allarte teatrale.
La storia è quella di un
uomo − Prospero Ribera – che vive in qualità di ospite per ben trentasette anni
presso la famiglia Selciano, benefattori di diseredati. Il signor Prospero
muore e suo figlio Ludovico si presenta in casa Selciano pretendendo leredità
di suo padre, ovvero laccoglienza in casa. Ludovico per rafforzare la sua tesi
accusa i Selciano di aver reso il padre un parassita, un disertore della vita, e
li dichiara colpevoli di non averlo emancipato. Per questo motivo li convince (non
senza minacce) ad ospitarlo in casa, dando loro la possibilità di continuare ad
esercitare “la parte” dei benefattori.
Saponaro rispetta letà dei
personaggi come indicato dallautore: quarantenni, non più figli e non ancora
genitori. Utilizza, come lui stesso afferma, la prima edizione testuale,
spostando lazione agli inizi degli anni 50 del Novecento. Lobiettivo è
quello di raccontare una borghesia che nonostante la guerra rimane fedele ai
propri principi di reazionario conservatorismo, di ipocrisia della carità
cristiana.
E ci riesce attraverso il
sarcasmo e lironia. Ludovico Ribera (Ernesto Alterio) arriva dal mare,
sconosciuto ai Selciano, con sottobraccio una scatola – contenete le carte del
padre defunto – insinuandosi nella casa dei benefattori, smascherandone i vizi
e le furbizie. Il regista tratteggia un personaggio bizzarro, sovversivo, che
come un Pulcinella stermina con la sua ambivalenza (demoniaca e sardonica) la
finta carità borghese. E Alterio – attraverso i suoi sguardi, ammiccamenti,
salti, corse, risate, ghigni – riesce a far trasmigrare dalla carta un
personaggio autentico, tristemente reale. È lui il vero protagonista,
nonostante la bravura dei suoi colleghi – tra i quali ci piace ricordare Concha Cuetos (Dorotea), José Manuel Seda (Amedeo), Yoima
Valdés (Margherita) e Natalie Pinot
(Caterina).
Interessante la scelta scenica dei personaggi,
ognuno ben circoscritto in uno spazio definito, una sorta di cerchio magico shakespeariano,
nel quale nessunaltro può entrare, perché è necessario mantenere le proprie
posizioni, i propri ruoli. Si assiste da una parte ad una famiglia numerosa che
da generazioni si tramanda la virtù della beneficenza: una vecchia zia, un amministratore,
un padrone di casa e sua moglie e limmancabile servitù che origlia da dietro
una porta. Dallaltra un uomo ribelle, solo, povero, straniero che come unico
orpello porta con sé quella scatola dalla quale, come da un vaso di Pandora,
tirerà fuori i segreti più infimi di quei falsi borghesi.
È lui a scardinare lo spazio, a correre da
una parte allaltra del proscenio, a catalizzare lattenzione prima di tutto dei
Selciano e poi degli spettatori, divertiti in platea. Le distanze si abbattono
soprattutto nella scena del pranzo a tavola − dove con una strizzatina docchio
a Miseria e Nobiltà di Totò – Ludovico (che preferisce farsi
chiamare Prospero II) inscena una grande abbuffata di spaghetti, serviti e
mangiati con le mani.
La stessa idea del cumulo di indumenti, posto
sulla scena dallinizio alla fine della rappresentazione, da trasformare in
vestitini per bambini, non vuole essere altro che un richiamo al cumulo di
ipocrisie sotto il quale si nasconde il finto perbenismo borghese italiota.
A rendere accattivante una recitazione dal
ritmo incalzante, risultano molto incisivi gli interventi musicali − con la
voce registrata di Enzo Moscato −
con le canzoni classiche della tradizione da Napulitanata, a Palomma, da
‘Mmiez ‘o ggrano a Cinematografo.
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