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Ritratto di signora in un interno

di Gianluca Stefani
  Non tutto è risolto
Data di pubblicazione su web 19/03/2012  
                                 

Chi si appresti a staccare il biglietto del nuovo spettacolo di Franca Valeri con lo spirito del visitatore del Madame Tussauds, sbaglia di grosso. Il monumento c’è, ma senza un rivolo di cera. Gli acciacchi dell’età non bastano a frenare la vitalità di quel corpicino d’attrice d’infinita classe, sovraesposto con l’elegante (auto)ironia che è un marchio di fabbrica. Il critico può dunque tirare un sospiro di sollievo: niente zelante deferenza per il genio che fu, perché l’artista è lì, nella sua verve intatta, freschissima, pronta una volta ancora a offrirsi all’amato pubblico, replica dopo replica, in barba alle novantuno primavere, quasi novantadue.

 


Franca Valeri (Matilde) in Non tutto è risolto
 

Con Non tutto è risolto la Valeri si (ri)mette in gioco due volte, firmando un testo zeppo di brillanti battute sul filo del paradosso, a metà tra Beckett e Wilde, da far invidia all’Allen delle migliori scritture, e indossando i panni (sartoriali) della protagonista, la contessa Matilde. Un personaggio che difficilmente dimenticheremo: una eccentrica nobildonna dal linguaggio forbito e l’aria demodée, senza più un soldo e al crepuscolo della propria esistenza, che vive l’ultimo giorno come se fosse il primo, ripartendo ogni volta da zero, con le spalle cinicamente girate al passato. Il suo “vuoto giornaliero” da riempire è una casa in cui un tempo ha abitato (forse), in un sontuoso quanto decrepito palazzo seicentesco abbandonato, occupato solo da una stufa austriaca in maiolica, tragicamente spenta. Accompagnata dall’inseparabile segretaria Angèle, Matilde incontrerà nell’abitazione la cameriera Milli (che è in realtà una sarta, o meglio una pantalonaia), e un figlio (un figlio?) di nome Manfred, dimenticato come un ricordo che non vale la pena ricordare.   

 

In tempi di crisi è lo stile a far la differenza – sembra dire anzitutto Matilde al lettore-spettatore («Sei al verde contessa?» insinua Manfred. «Non è il mio colore», ribatte, secca, lei). Sono gli antichi codici di una società in via di estinzione, da appuntare sul petto con orgoglio (scoprendo, divertiti, che il dare del “lei” non è snobistico, è piuttosto un mettere le distanze nei rapporti interpersonali per favorire la riflessione). L’antico e il nuovo convivono in Matilde senza risolversi. Né giovane né vecchia («l’età non mi ha mai dato un’impronta»), la contessa si erge a cavalluccio della memoria aprendosi instancabilmente alla vita, alle sue sorprese, rifiutando schemi e programmi, giocando esorcisticamente con la morte (a proposito: qual è il significato del verbo concludere?). Impossibile non scorgere in lei autoproiezioni della stessa Valeri. E non solo per via degli ammiccamenti metateatrali disseminati nella commedia («Io avrei dovuto fare l’attrice, entro subito nei ruoli», soggiunge, non senza un fondo di civetteria, la contessa). In quella signora d’altri tempi con il gusto per il nonsense (sensatissimo) Franca Valeri mette a nudo sé stessa, le sue fragilità e i suoi punti di forza, senza bluff, senza plastiche facciali né lifting dei sentimenti. Unico filtro, l’autoironia. Lucidissima.  

 


Franca Valeri in una scena dello spettacolo

 

Eccola dunque in scena, Franca alias Matilde, con la voce incerta e il fisico fragile eppure orgogliosamente impettito. Guidata dal fidato Giuseppe Marini (che l’aveva già diretta nelle Serve di Genet, oltreché nel suo Carnet de Notes), la presenza della Valeri è sottolineata caricaturalmente come dalla matita di un vignettista: il cappottino di pelliccia color crema, il tailleur elegante «di modista», la borsetta a mano, il cappellino blu elettrico pennellato in testa. Cipria in viso e smalto nello humour: tempi comici mandati a memoria, arguzie infilzate l’una dietro l’altra che arrivano allo spettatore anche quando la voce, a tratti, si perde. Intorno a lei, un crocchio di attori di lusso: la Angèle di Licia Maglietta, dalla recitazione impeccabile anche se un po’ troppo impostata (gusto personale); la Milli dalla vena popolana di Gabriella Franchini (che fa il verso alla sora Cecioni, godibile gioco citazionistico); il Manfred aristocratico e sessualmente ambiguo di Urbano Barberini, dissimulato in scena e scoperto all’improvviso per l’unico coup de théâtre concesso allo spettatore.    

 


Il cast completo di scena al teatro della Pergola
 

Se i comprimari interpretano diligentemente i propri ruoli, e la regia non regala grosse sorprese, è la scenografia a distinguersi. Alessandro Chiti allestisce un angolo di salone dai toni rossi cupi e ocra e verde pallido, memore delle atmosfere magnificamente decadenti degli interni viscontiani, dominato da una monumentale stufa venuta da Vienna: “personaggio” aggiunto, muto referente dei monologhi (cinici, a tratti lirici) della contessa. L’aria dolente che spira da quelle pareti sorde, fasciate da tappezzerie in rovina e mosaici sbriciolati, fa da contraltare all’umorismo arioso, lieve di Matilde, sottolineato dall’allegretto baroccheggiante degli inserimenti musicali.

 

Una dialettica del contrasto che dà spessore alla poetica della Valeri, interprete da sempre di una comicità leggera ma nient’affatto consolatoria, con punte di amara riflessione, come nella migliore commedia all’italiana. Perché, come suggerisce il titolo, non tutto è risolto: nello spettacolo come nella vita. Un messaggio lapidario, un testamento spirituale servitoci, ancora una volta, da Franca Valeri. Ma per carità, non parlate all’attrice di testamento.

                                                                                             
Non tutto è risolto
cast cast & credits
 

                          

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                

Franca Valeri nella copertina Einaudi di Non tutto è risolto 
                 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Franca Valeri è la contessa Matilde nello spettacolo in scena al teatro della Pergola

 



 
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