Al debutto dei Masnadieri, nel 1782 a Mannheim, si narra che il pubblico fu travolto da unonda emotiva così intensa da provocare abbracci di commozione e addirittura svenimenti di alcune gentildonne. Intriso di principi rivoluzionari contro le istituzioni politiche, sociali e i pregiudizi morali con il fermo proposito di fare del palcoscenico un nuovo «istituto morale», lesordio letterario di Friedrich Schiller è summa di quel tempestoso movimento che fu lo Sturm und Drang. Audace e anticonvenzionale, oggetto di diverse censure e altrettanti guai personali, I masnadieri toccano vette di pensiero e di poesia paragonabili alla grande drammaturgia shakespeariana, il cui genio veniva scoperto in quegli anni.
Gabriele Lavia ritorna al testo che lo vide regista e memorabile protagonista (Franz) nel 1982, accanto a Umberto Orsini (Karl) e Monica Guerritore (Amalia). Lo rivisita mettendo in risalto il malessere sociale della nostra epoca, segnata dalla morte delle grandi utopie e dal vuoto ideologico, momento storico prossimo a una svolta radicale secondo il regista, molto simile al tempo in cui visse Schiller, quello scorcio del Settecento che nel passaggio tra lIlluminismo e il Romanticismo anticipava la Rivoluzione Francese. Ritornano, in questultima opera, i tratti salienti della poetica scenica di Lavia: la lettura in chiave moderna dei classici; la ricerca di uno spazio scenico imponente e versatile, confrontabile, talvolta, alle architetture sceniche del Ronconi di un tempo; la scelta di costumi e musiche evocative; unelaborata recitazione, tesa a caratterizzare minuziosamente i personaggi; gli intermezzi metateatrali e gli ammiccamenti brechtiani. I masnadieri irrompono sul palco con venti attori impegnati in uno spettacolo di grande impatto emotivo e scenico, impetuoso e pretenzioso, atto di nascita della Giovane Compagnia del Teatro di Roma.
Il gruppo dei masnadieri
Lo scenografo Alessandro Camera affoga il palcoscenico della Pergola sotto un fresco strato di terra dallodore pungente, humus di una foresta di piantane, spazio drammaturgicamente attivo che diventa via-via la selva boema dei masnadieri, luogo di accampamenti, oppure linterno del castello dei Moor. In primo piano, sulla destra, la poltrona del vecchio conte, simbolo della seduzione del potere, e qualche praticabile ligneo allineato in diagonale. In questatmosfera gotica, abilmente plasmata dalle luci di Simone De Angelis, si dipanano gli intrighi e i colpi di scena del capolavoro giovanile di Schiller.
Franz, intenzionato a diventare ad ogni costo signore della contea dei Moor, semina discordia tra suo padre e il primogenito Karl. Il vecchio Moor viene sepolto vivo in una torre del castello, mentre il fratello, afflitto per essere stato diseredato del capofamiglia, diventa capitano di una banda di masnadieri che erra nella selva boema per vendicare torti e ingiustizie. Al ritorno in casa paterna, spinto dallamore per Amalia, Karl scopre le menzogne e i delitti del fratello, libera quindi il padre ancora vivo grazie alla pietà di un servitore. Il suicidio di Franz non risolve la situazione. Il vecchio conte riconoscendo nel figlio il capo dei masnadieri, muore di crepacuore. Karl, oppresso dal peso dei delitti e il giuramento indissolubile con i malviventi, uccide Amalia e si consegna alla giustizia, raggiungendo la consapevolezza di non poter ristabilire la legge con lillegalità. Questo, grosso modo, lintreccio dellopera di Schiller che Lavia nel finale trasforma in tragedia. Prigioniero del proprio fallimento, arreso allo sconforto e alla disperazione, Karl spara al padre e allamata. I buoni propositi delleroe schilleriano vengono disattesi dallestetica rock che guida lallestimento. Il capitano dei masnadieri viene ucciso dai suoi stessi uomini che non intendono assecondare le «manie di grandezze» del Moor. Come in Amleto tutto finisce in sangue e fango, irreversibile epilogo di un mondo impietoso, come cantava Cat Stevens nella sua famosa Wild World.
Francesco Bonomo (Franz) e Daniele Gonciaruk (il servo Daniel)
Schiller dipinge con maestria i contorti intrecci familiari, la seduzione del potere, il richiamo della libertà, lamore conteso, lodio, la religione, la fedeltà, il tradimento, la morte, letica e la coscienza. La fabula si fonda sul motivo dei fratelli nemici, archetipo vecchio quanto il mondo, uno alter-ego dellaltro, entrambi antieroi. È la diversità il tarlo che rode Franz, il figlio storpio, gobbo, strisciante come un serpente, perfido e macchinoso, reso alla perfezione da un bravissimo Francesco Bonomo, discepolo fedele degli insegnamenti di Lavia. Ai difetti fisici si somma la sfortuna di essere nato secondogenito, quindi mancato erede, capriccio del fato e insieme di suo padre, frutto di «un impulso animale» e di «un caso fortuito». I sottili pensieri schilleriani, splendidi monologhi che tanto ricordano lestro di Shakeaspeare, vengono sussurrati al microfono, come se volessero rendere palpabile quella voce interiore che spesso ci risuona dentro torbida e confusa.
Il gruppo dei masnadieri. In centro Simone Toni (Karl)
Dallaltra parte cè Karl (Simone Toni), il figlio prediletto, eroico e intraprendente, amato dal padre e dalla bella Amalia, capitano della banda dei fuorilegge, una combriccola di banditi un po punk un po heavy metal che rubano e uccidono in nome dello slogan «Libertà o morte!». È la caratterizzazione del coro dei masnadieri, rigorosamente vestiti di nero – lunghi impermeabili di pelle, bombette, occhiali scuri, stivali, collane e anelli – il tratto distintivo della messinscena di Lavia. In mezzo a loro si agita Karl von Moor, un Robin Hood dal peso della maledizione paterna che sceglie la via del delitto e della vendetta per ‘purificare il mondo. Lo vediamo errare col passo pesante e cadenzato, in lotta tra il bene e il male, questo assassino dal cuore tenero, ‘bello e maledetto, che esprime i suoi crucci al suono di chitarre. Amalia (Cristina Pasino) fa parte della stessa schiera: una Giulietta dark, fedele fino alla morte al suo amore, romantica e tosta, che lancia grida di odio contro il potere e la falsità.
Al di là dell'esasperazione del tragico, di una recitazione a tratti esagitata e delladozione di certi stereotipi cine-televisivi che strizzano locchio ai più giovani, la forza dei Masnadieri di Lavia va ricercata nellenergia dei giovani interpreti, nelluso sapiente delle luci – fulmini abbaglianti che puntano lo spettatore, disturbandolo e scuotendolo dalla comoda posizione di voyeur – e nelle musiche di Franco Mussida, chitarrista della PFM, che introduce le sonorità senza tempo della ghironda, strumento medioevale dei menestrelli francesi le cui note dal sapore celtico echeggiano nella mente e sulla bocca anche fuori dal teatro.
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