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Un eccesso di intenzioni

di Sara Mamone
  Metéora
Data di pubblicazione su web 13/02/2012  

Come far fallire per eccesso di intenzioni un’idea bellissima ma, forse, più furba che sincera. E’ l’ottimo risultato di Spiros Stathoulopoulos, enfant prodige del cinema greco e che, oggi poco più che trentenne, inanella premi e menzioni da almeno un quindicennio. Storia semplice ed alta quella inventata dal giovane cineasta che colloca una storia d’amore irresistibile tra un monaco ed una suora giovanissimi imprigionati in due diversi eremi posti sulla cima di due diverse meteore. Come ognun sa le meteore greche (oltre ad essere state definitivamente turistizzate dal loro ingresso nel patrimonio culturale dell’Unesco) sono nell’immaginario collettivo luoghi della più assoluta separazione dal mondo e quindi, di per sé, luoghi di spiritualità assoluta. Poste su rocce praticamente inaccessibili possono essere raggiunte solo a prezzo di enormi fatiche e pazienza nel salire lento e interminabile delle loro migliaia di piccoli gradini scolpiti nella roccia oppure insaccati in grandi ceste che vengono sollevate con carrucole poste in cima alle costruzioni in vetta. In vetta ci sono, appunto, piccole suggestive comunità di monaci (o di monache) dediti alla preghiera e alla pratica liturgica.






Vicinissime in linea d’aria ma praticamente irraggiungibili se non nelle circostanze eccezionali di un’uscita nel mondo, non fermano però l’amore dei due giovani che si cercano attraverso segnali luminosi captati da rilucenti specchietti e si uniscono in rapidi e più concreti amplessi nelle occasioni in cui riescono ad uscire dall’isolamento: tra bucolici paesaggi il loro amore trova la strada dell’appagamento fisico. Accompagnato, è ovvio, dal senso del peccato, dalla ripulsa e poi dall’inevitabile, presentandosi l’occasione, ricaduta.  Tutto è giocato con tempi ieratici nell’insistita lentezza dei gesti, nell’evocatrice allusività degli sguardi, nell’abile gioco cromatico. Teodoro e Urania sono i protagonisti della storia o sono l’incarnazione della fantasia di uno spettatore (o di un poeta?) di fronte ad un’icona che li rappresenta? E come disorientare meglio lo spettatore aggiungendo significati ai già molti insiti nella storia? Alternando alla fisicità già abbastanza disincarnata degli attori i loro doppi animati, dando vita e movimenti alle loro rappresentazioni iconiche e, quando il peccato diventa seriale, spalancare davanti ai loro ed ai nostri occhi l’animazione di un inferno popolare, con le lingue di fuoco e i diavoli che si animano uscendo da un’ingenua pittura devozionale.






La suggestione non manca ma è come frenata da una troppo accorta predisposizione, da un montaggio alternato di verità e animazione troppo costruito, da una “presunzione” di fondo che mescola non solo le forme cinematografiche ma oscilla senza una vera disciplina tra poesia, antropologia, finta semplicità e vera ambizione.



Metéora
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