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Provaci ancora Maryl!

di Elisa Uffreduzzi
  The Iron Lady
Data di pubblicazione su web 03/02/2012  

A tre anni dal clamoroso successo di Mamma Mia! (2008), Phyllida Lloyd si cimenta in un nuovo ambizioso film. Il prodotto delle sue fatiche stavolta è una biografia piuttosto agiografica che offre una lettura della figura di Margaret Thatcher (Meryl Streep) che la mitizza nel momento stesso in cui pretenderebbe di offrirne una visione scevra da celebrazioni di sorta. La scelta di aprire il film con le inquadrature della lady di ferro ormai anziana che fruga tra i frigoriferi di un supermercato per acquistare un cartone di latte, se da un lato spoglia la donna di qualsivoglia aura mitica, dall’altro maschera dietro una demistificazione solo apparente, l’apologia di un’itera carriera politica, ché il personaggio che ne esce, al di là del giudizio storico, si attira inevitabilmente le simpatie del pubblico. Non è questa la sede per sancire l’opportunità di apologizzare o meno l’operato thatcheriano all’interno del partito conservatore prima e come Primo Ministro inglese dal 1979 al 1990 poi; si tratta semmai di stabilire se e come la biografia della donna, che qui considereremo quindi un personaggio “mitico” come un altro, riesca, narrativamente e cinematograficamente.




Dal punto di vista narrativo si segnala come una buona intuizione la presentazione di Denis, già anziano consorte della Thatcher: scopriamo a poco a poco, mediante impercettibili scambi di battute in sottofondo e impalpabili opzioni visive, che è in realtà morto e quella con cui dialoga la protagonista, non è che una proiezione della sua mente, incapace di accettare il trapasso del compagno di una vita. Al livello di linguaggio filmico la storia si muove su due binari paralleli, l’oggi – dove troviamo una Margaret Thatcher ormai anziana e afflitta dal morbo di Alzheimer – e la memoria – dal lavoro giovanile nella drogheria di famiglia, alla carriera politica. Attraverso una successione continua di flashback passiamo da un piano all’altro della narrazione, tanto che se non conoscessimo la realtà dei fatti, potremmo quasi pensare che l’oggi fosse un flashforward a partire dal livello della memoria. Del resto un analogo andamento narrativo si ravvisa anche nel recente J. Edgar (Clint Eastwood, 2011), altra grande biografia filmica, delineando così i prodromi di quella che sembrerebbe una tendenza in via di sviluppo nel cinema contemporaneo. All’interno di svariati flashback sono interpolate riprese di reportage originali, che rendono giustizia della storia evenemenziale che ha attraversato il mandato governativo della lady di ferro. Carrellate a un’altezza insolita (sui piedi o sui mezzi busti “privati” delle rispettive teste); ralenti dell’avampiano a contrasto con lo sfondo a velocità normale all’interno dello stesso frame; angolazioni di ripresa inusuali (spesso in dettaglio); inserti reiterati (come l’inquadratura delle coetanee che sbeffeggiano la giovane Margaret); instabilità della macchina da presa: questi gli ingredienti di un ritratto che traduce cinematograficamente i modi della Pop Art, restituendo un quadro sovvertito, che ricorda molto i ritratti divistici di Andy Warhol. Si segnala anche un campo-controcampo inesatto, chissà se voluto o meno.

A ben guardare il risultato finale somiglia molto a un documentario abbellito da un’accattivante estetica da videoclip. Interessante la chiusura che sfuma il totale ormai vuoto del soggiorno di casa Thatcher in una lenta dissolvenza in nero, metafora del declino di un mito. A tratti un po’ lento, appesantito dal carattere enciclopedico e un po’ troppo ambizioso del racconto, il film può piacere come una buona biografia divulgativa di Napoleone, fatta per impressionare più che entusiasmare. Se questo era l’intento, probabilmente ci riesce. Meryl Streep, in quello che è un vero e proprio “Star Vehicle”, dà la buona interpretazione che ci aspettavamo, certo coadiuvata dal riuscito trucco di Mark Coulier e J. Roy Helland: finalmente una diva viene invecchiata senza farla somigliare al personaggio di un programma televisivo di satira politica. Peraltro anche la giovane Margaret (Alexandra Roach) offre una buona prova recitativa. Meno convincente Harry Lloyd che, nel ruolo del giovane Denis Thatcher, produce un’interpretazione un po’ caricaturale, laddove Jim Broadbent (Denis Thatcher anziano) persuade poiché sa adeguarsi alla funzione di “spalla maschile” della diva – un ruolo destinato a restare nell’ombra – senza per questo lesinare brevi azioni brillanti.




Sulle musiche di Thomas Newman, che a magniloquenti brani orchestrali ne alterna altri dal tratto più moderno e le sonorità pop-rock, spicca il brano Shall We Dance? (dal musical The King & I, Walter Lang, 1956) cantato da Deborah Kerr e Yul Brynner, che si distingue sia per la citazione cinematografica suggerita, che per la piacevolezza della melodia e il valore affettivo che assume per la protagonista.

Le nomination agli Oscar 2012 (migliore attrice protagonista e miglior trucco), sono facilmente giustificabili sia per i già menzionati motivi di merito, che per il plot essenzialmente basato sul riscatto di una figura di outsider e la trasformazione fisica di Meryl Streep: due atout da sempre vincenti quando si parla di Academy Awards. A conti fatti, tutto fa pensare a una ben ponderata “operazione di marketing”, funzionale a un nuovo Oscar per la Streep, già premiata nel 1980 (miglior attrice non protagonista) e nel 1983 (miglior attrice protagonista). Discutibile la scelta di confezionare un profilo encomiastico dell’ex Premier britannico ante mortem.



The Iron Lady
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