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Se Dio giocasse a dadi

di Paolo Patrizi
  Madame Curie
Data di pubblicazione su web 22/11/2011  

«Dio non gioca a dadi», amava dire Einstein: una delle frasi più saccheggiate, anche a sproposito, nei manuali delle citazioni e nelle vulgate di storia della scienza, ma che si riferiva a una questione ben circoscritta né estendibile a controversie di tipo metafisico. La sua concezione antiprobabilistica, alla base della teoria della relatività, si sintetizzava nella metafora del dado, inteso come alea che non può trovare spazio in una visione deterministica dei fenomeni; ma è forse inevitabile che una frase tanto suggestiva venga utilizzata a fini drammaturgici, forzando un po’ la mano alla realtà storico-scientifica e trasformandola in un aforisma sui destini dell’umanità, ad opera d’uno scienziato-demiurgo che con quei destini può giocare o meno, proprio come il Padreterno con i dadi.

 


 


Foto di Sebastian Cwikla


 

 

Ecco dunque l’eterno problema della scienza intesa come madre-matrigna, veicolo di sicuro progresso ma anche di distruzione possibile; ecco alzarsi il sipario su un Einstein che mette in guardia Marie Curie dai possibili esiti devastanti di una scoperta, fondamentale per le sue applicazioni in medicina, come la radioattività; ecco apparire alle spalle del soprano e del baritono che incarnano i due scienziati la proiezione di un fungo atomico, mentre Marie esalta i benefici effetti che potranno derivare dalla sua ricerca. Come per il Keplero di Die Harmonie der Welt di Hindemith, come per il Galileo dell’opera omonima di Corneliu Cezar, la Madame Curie di Elzbieta Sikora non offre risposte sul piano etico, a conferma che le grandi tensioni etiche nel teatro lirico vanno dal Fidelio al melodramma verdiano, con pochissime propaggini precedenti o successive: semmai, è un’opera che pone domande. Gli interrogativi, forse irrisolvibili, vengono tuttavia contornati da altre questioni, più spiccatamente teatrali e operistiche: dal substrato femminista (uno scienziato donna in una comunità professionale tutta maschile, lo sdegno dei bacchettoni verso un’ipotetica elasticità morale della Curie) all’afflato patriottico di una Polonia schiacciata da altri paesi e alla ricerca d’una vera unità nazionale. È soprattutto questo contorno, insieme pubblico e privato, a fare di Madame Curie un’opera potenzialmente popolare e destinata a una buona circolazione, anziché morire sul nascere come troppe nuove creazioni del teatro musicale contemporaneo.

 

Commissionata dall’Unesco per celebrare il 2011 anno mondiale della chimica, Madame Curie ha avuto la destinazione più logica: una compositrice polacca di formazione francese, proprio come avvenne per la parabola di Maria Sklodowska sposata Curie, nata a Varsavia ma con studi alla Sorbona. La Sikora sceglie la via di un linguaggio musicale ben leggibile, sebbene tutt’altro che semplicistico, come si conviene all’intonazione d’un libretto (tre atti serrati e incalzanti di Agata Miklaszewska) non privo di momenti visionari, ma che privilegia soprattutto un andamento da fiction: ampia orchestra “classica” supportata da innesti, sempre pregnanti e mai invasivi, di elettronica; grande attenzione alla componente coloristica, intesa come vera e propria “drammaturgia timbrica”; scrittura estremamente variegata per la protagonista (si va da una sorta di belcanto postmoderno, talvolta affidato a puri suoni vocalici, a un espressionismo trasfigurato e liricizzante), più monolitica per Einstein (un tradizionale declamato), sostanzialmente neutra per gli altri personaggi. In attesa che l’opera decolli verso palcoscenici tradizionali – a cominciare da quello di Opera Baltycka, il teatro di Danzica che ha prodotto lo spettacolo – la première parigina nel palazzo Unesco è stata un successo.

 


 


Foto di Sebastian Cwikla
 

 

L’allestimento è concepito in forma semiscenica e ciò, anche in uno spazio teatralmente non attrezzato come la Sala Grande dell’Unesco, ha permesso di godere della notevole impaginazione visiva del regista Marek Weiss: l’occasionale ricorso alle proiezioni (i filmati di guerra quando Marie appronta trattamenti radioterapici ai soldati del ‘14-‘18, il fungo atomico…) sono gli unici momenti didascalici di un allestimento giocato sul registro evocativo, dalle palesi ascendenze kantoriane (il coro fantasmatico e cinereo, posto su scranni ai lati del palco, dei ciechi osteggiatori della Curie rimanda a La classe morta), dove la rottura del filo che separa progresso scientifico ed effetti mortali viene riassunta dall’immagine del cadavere del marito di Marie steso sul tavolo di ricerca, trasformato in tavolo da obitorio.

 

Il senso della morte aleggia dall’inizio alla fine come la farfalla incarnata da Loïe Fuller: storica ballerina amica della Curie che morirà per effetto delle radiazioni (la fosforescenza delle ali che esibiva in palcoscenico era ottenuta con il radio), qui sdoppiata in due interpreti – Elzbieta Czajkowska-Klos nei momenti coreutici, Joanna Wesolowska in quelli cantati – donando allo spettacolo un momento di suprema ambiguità teatrale quando Loïe, ormai paralizzata, ha le fattezze della prima, mentre l’infermiera che trascina la carrozzina ha la voce della seconda. Ma, a ricordarci che la scienza non è lontana dalla vita di tutti i giorni, non mancano momenti d’ironia, affidati anch’essi a personaggi storici: come il matematico Paul Painleve, esasperato all’idea di fare da padrino di duello e venir sottratto al suo mondo di calcoli, o la suffragetta americana Missy Maloney, intrepida ma sbigottita finanziatrice degli esperimenti della Curie. Mentre l’ironia si stempera in dolcezza davanti all’arrivo delle due bambine di Marie – una, sulla scia dei genitori, futura scienziata, l’altra futura musicista – con i loro rispettivi “giocattoli”: uno strumento scientifico e un violino.

 


 


Foto di Sebastian Cwikla


 

I cantanti rispondono con un’adesione e un’empatia notevolissime, a cominciare dalla protagonista Anna Mikolajczyk, mattatrice per necessità drammaturgiche (Marie è presente in scena dall’inizio alla fine) ma pure per autentico carisma: sarebbe bello riascoltarla al più presto in veste di cantante-attrice mozartiana e di attrice-cantante in qualche altra novità operistica dei nostri giorni. Einstein, che dell’opera è un po’ il protagonista simbolico-morale, offre meno possibilità all’esecutore, ma la robustezza d’emissione e il timbro compatto di Leszek Skrla s’imprimono nella memoria e lasciano intuire un baritono verdiano di spessore. Pierre Curie e Paul Langevin – il marito e l’amante, uniti a Marie nei sentimenti come nella ricerca scientifica – sono raffigurazioni più pallide nella musica e nel libretto, disegnate però da Pawel Skaluba e Tomasz Rak con professionismo canoro ed efficacia interpretativa. Mentre la bacchetta di Wojciech Michniewski, alla guida dei complessi di Opera Baltycka, distribuisce parimenti tensioni e dolcezze della partitura, sottolineando con analiticità non dispersiva quel senso della forma nitida, minuta e “divisionista” che sembra la caratteristica più saliente della Sikora.


 

Madame Curie
Opera in tre atti di Elzbieta Sikora


cast cast & credits


Foto di Sebastian Cwikla




 
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