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Prima e dopo la rivoluzione

di Fabiana Campanella
  Revolution now!
Data di pubblicazione su web 10/11/2011  
                                 

«La rivoluzione non è una mela che cade da sola quando è matura. Devi farla cadere!» (Mao Tse Tung). Sulla scia di un ex erga più che pertinente, gli anglo berlinesi Gob Squad rispolverano dagli archivi della storia tutto l’immaginario rivoluzionario, e lo catapultano nel presente. Con costumi glitter e acetati sgargianti, cappelli del Che e bazooka, piume di struzzo e fanfare russe, chitarre elettriche e videocamere, la rivoluzione viene messa in scena con il contributo attivo del pubblico, chiamato a rispondere a ogni sollecitazione, a cantare, suonare, gridare. Perché libertà è partecipazione. Nel minestrone dei simboli non possono mancare Bob Dylan ed Elvis Costello, mentre la locandina dello spettacolo è una rivisitazione urban/gangster de La libertà che guida il popolo di Delacroix, con bandiera dorata lamé al posto di quella francese, e due personaggi in relax contemporaneo (cellulare e sigaretta) invece degli scamiciati francesi travolti dalla folla.

 


 

Per il Festival Prospettiva 150, nella Torino prima capitale italiana ai tempi della nostra rivoluzione fatta in mille, gli spettatori vengono accolti da un “manifesto non manifesto”, volantinato all’ingresso: «Questo è Revolution now! Questo non è lo spettacolo. È una prova. È una preparazione. Ci stiamo preparando per la rivoluzione che sta per scoppiare. […] Già da ora dobbiamo decidere come comportarci, da che parte stare, e come vogliamo che sia la vita dopo la rivoluzione. Noi siamo rivoluzionari e vogliamo un cambiamento, e non abbiamo paura di dire che non sappiamo come arrivarci».

Il primo tentativo è una raccolta disordinata di materiali – musicali, poetici, iconografici – urlati all’umanità seduta sugli spalti del teatro, invitata e incitata a reagire. «Gob Squad» è già, per il pubblico italiano, sinonimo di partecipazione, coinvolgimento e intromissione dello spettatore, che diventa protagonista e volano dell’azione. Al festival di Santarcangelo 2010 li abbiamo visti correre per le strade con una Super night shot per girare un film in diretta sui supereroi. Dal 1994, il collettivo dei Gob Squad lavora con progetti video e performance in uffici, stazioni, case, alberghi e gallerie d’arte, seguendo una ricerca sulla bellezza e sulla banalità nella cultura contemporanea. Da questa dichiarazione d’intenti, si desume l’utilizzo caotico di tecnologie e media.

 

Gli spettatori più timidi, e ben informati, cercano sempre un posto al centro della platea, di difficile accesso alle incursioni degli scatenati attori. Ma a Torino non si sfugge all’occhio della telecamera, lanciata curiosa verso il pubblico ancora prima che entri in sala, accolto poi da uno schermo che riproduce il girato di pochi minuti prima. Come in Pura Coincidència di Roger Bernat, sempre a Santarcangelo 2010, proiettati in sala ci siamo noi che prendiamo il volantino, che mostriamo il biglietto di ingresso, che sorridiamo per il rumoroso benvenuto. Con lo stesso appeal da improvvisazione, gli attori entrano cantando trionfanti The times they are changing e riprendendosi a circuito chiuso. Ma «la telecamera è la parte più importante della rivoluzione, e non funziona!».

 


 

Molti interrogativi si aprono – «Il teatro è ancora rilevante? Siete qui per il vostro libero arbitrio? Chi di voi ha mai fatto un piccolo atto di resistenza? » – in un rapporto diretto con l’audience che riprende i tratti tipici di molto teatro europeo contemporaneo. Tutto il materiale raccolto viene incanalato dalla telecamere a spalla in uno speciale broadcast che trasmette all’esterno, in un curioso catafalco al centro di una strada semideserta. Come già a Berlino, a Colonia e a Londra, dove lo spettacolo è andato in scena nell’ultimo anno, i passanti vengono inquadrati nel loro incedere tentennante. Chi si avvicina di più sente che in quella TV qualcuno lo sta aspettando: «Sentitevi liberi di unirvi a noi: dobbiamo bandire la solitudine, la rivoluzione inizia così! Quando la TV scende in strada…».

 

L’interazione strada/teatro si fa ancora più forte quando rivediamo alcuni degli attori in esterna, proiettati sul doppio schermo in/out della Cavallerizza Reale. La loro presenza in strada amplifica la presenza in video del pubblico, che con cartelli e 16 chitarre elettriche, prestate con grande effetto, mostra l’entusiasmo di un’azione molto estetizzante e poco rivoluzionaria. Resta la sensazione di assistere a un divertente incontro tra amici, magari un po’ ubriachi, che si raccontano come sarebbe bello fare la rivoluzione, e giocano a ricordarsi come si fa. L’atto più sovversivo, evidentemente, è ancora l’incontro, lo scambio di ruoli tra lo spettatore e l’attore, tra il passante anonimo e il protagonista di uno spettacolo. Eroe per una sera, il torinese Federico ha spostato il suo percorso verso casa, si è fidato di un paio di giovanotti esagitati che gli parlavano in inglese in una desolata Via Verdi, e di un centinaio di volti in un piccolo schermo che gli mostrava dei cartelli per dirgli «Abbiamo bisogno di te». Sarà lui a sventolare la bandiera luccicante del gran finale.

Revolution now!


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