«La rivoluzione non è una mela
che cade da sola quando è matura. Devi farla cadere!» (Mao Tse Tung). Sulla
scia di un ex erga più che pertinente, gli anglo berlinesi Gob Squad rispolverano dagli archivi della storia tutto
limmaginario rivoluzionario, e lo catapultano nel presente. Con costumi glitter e acetati sgargianti, cappelli
del Che e bazooka, piume di struzzo e fanfare russe, chitarre elettriche e
videocamere, la rivoluzione viene messa in scena con il contributo attivo del
pubblico, chiamato a rispondere a ogni sollecitazione, a cantare, suonare, gridare.
Perché libertà è partecipazione. Nel minestrone dei simboli non possono mancare
Bob Dylan ed Elvis Costello, mentre la locandina dello spettacolo è una
rivisitazione urban/gangster de La libertà
che guida il popolo di Delacroix, con bandiera dorata lamé al posto di
quella francese, e due personaggi in relax contemporaneo (cellulare e
sigaretta) invece degli scamiciati francesi travolti dalla folla.
Per il Festival Prospettiva 150, nella Torino prima capitale italiana ai
tempi della nostra rivoluzione fatta in mille, gli spettatori vengono accolti
da un “manifesto non manifesto”, volantinato allingresso: «Questo è Revolution now! Questo non è lo
spettacolo. È una prova. È una preparazione. Ci stiamo preparando per la rivoluzione
che sta per scoppiare. […] Già da ora dobbiamo decidere come comportarci, da
che parte stare, e come vogliamo che sia la vita dopo la rivoluzione. Noi siamo
rivoluzionari e vogliamo un cambiamento, e non abbiamo paura di dire che non
sappiamo come arrivarci».
Il primo tentativo è una raccolta
disordinata di materiali – musicali, poetici, iconografici – urlati allumanità
seduta sugli spalti del teatro, invitata e incitata a reagire. «Gob Squad» è
già, per il pubblico italiano, sinonimo di partecipazione, coinvolgimento e
intromissione dello spettatore, che diventa protagonista e volano dellazione. Al
festival di Santarcangelo 2010 li
abbiamo visti correre per le strade con una Super night shot per
girare un film in diretta sui supereroi. Dal 1994, il collettivo dei Gob Squad
lavora con progetti video e performance in uffici, stazioni, case, alberghi e
gallerie darte, seguendo una ricerca sulla bellezza e sulla banalità nella
cultura contemporanea. Da questa dichiarazione dintenti, si desume lutilizzo
caotico di tecnologie e media.
Gli spettatori più timidi, e ben
informati, cercano sempre un posto al centro della platea, di difficile accesso
alle incursioni degli scatenati attori. Ma a Torino non si sfugge allocchio della
telecamera, lanciata curiosa verso il pubblico ancora prima che entri in sala,
accolto poi da uno schermo che riproduce il girato di pochi minuti prima. Come
in Pura Coincidència di Roger
Bernat, sempre a Santarcangelo 2010, proiettati in sala ci siamo noi che
prendiamo il volantino, che mostriamo il biglietto di ingresso, che sorridiamo
per il rumoroso benvenuto. Con lo stesso appeal
da improvvisazione, gli attori entrano cantando trionfanti The times they are changing e riprendendosi a circuito chiuso. Ma «la
telecamera è la parte più importante della rivoluzione, e non funziona!».
Molti interrogativi si aprono – «Il
teatro è ancora rilevante? Siete qui per il vostro libero arbitrio? Chi di voi
ha mai fatto un piccolo atto di resistenza? » – in un rapporto diretto con
laudience che riprende i tratti tipici di molto teatro europeo contemporaneo.
Tutto il materiale raccolto viene incanalato dalla telecamere a spalla in uno
speciale broadcast che trasmette
allesterno, in un curioso catafalco al centro di una strada semideserta. Come
già a Berlino, a Colonia e a Londra, dove lo spettacolo è andato in scena
nellultimo anno, i passanti vengono inquadrati nel loro incedere tentennante.
Chi si avvicina di più sente che in quella TV qualcuno lo sta aspettando: «Sentitevi
liberi di unirvi a noi: dobbiamo bandire la solitudine, la rivoluzione inizia
così! Quando la TV scende in strada…».
Linterazione strada/teatro si fa ancora più forte quando rivediamo
alcuni degli attori in esterna, proiettati sul doppio schermo in/out della
Cavallerizza Reale. La loro presenza in strada amplifica la presenza in video
del pubblico, che con cartelli e 16 chitarre elettriche, prestate con grande
effetto, mostra lentusiasmo di unazione molto estetizzante e poco
rivoluzionaria. Resta la sensazione di assistere a un divertente incontro tra
amici, magari un po ubriachi, che si raccontano come sarebbe bello fare la
rivoluzione, e giocano a ricordarsi come si fa. Latto più sovversivo,
evidentemente, è ancora lincontro, lo scambio di ruoli tra lo spettatore e
lattore, tra il passante anonimo e il protagonista di uno spettacolo. Eroe per
una sera, il torinese Federico ha spostato il suo percorso verso casa, si è
fidato di un paio di giovanotti esagitati che gli parlavano in inglese in una
desolata Via Verdi, e di un centinaio di volti in un piccolo schermo che gli
mostrava dei cartelli per dirgli «Abbiamo bisogno di te». Sarà lui a sventolare
la bandiera luccicante del gran finale.
Revolution now!
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