Il Texas, è noto, non è proprio un paese per vecchi e Killer Joe, ultimo lungometraggio di William Friedkin, uno che a Hollywood vive un po da outsider e che non disdegna di aizzare polemiche, ribadisce lassunto.
Sono nei guai, mamma mi ha rubato la cocaina che dovevo spacciare, ma mi hanno consigliato un killer (il Joe del titolo appunto, interpretato da Matthew McConaughey) che la può eliminare e così incassiamo il premio dellassicurazione sulla vita. Più o meno è questo che lamorevole figlio Chris (Emile Hirsch) riferisce al padre ed ex marito della ladra di droga. Luomo, una deliziosa incarnazione di lentezza intellettiva, (risposato con una bellona molto al di sopra di ogni sua possibilità), tentenna un po ma alla fine accetta.
Presa la decisione, si scopre pure che la giovanissima di lui figlia Dottie, (Juno Temple, qui più Baby Doll che Lolita) ritenuta intestataria della polizza, accoglie la criminosa idea con innocente piacere. In fondo, dice, la mamma mi trattava tanto male.
Joe, sceriffo di Dallas che avanza tempo fa lammazzacristiani, con molta professionalità interviene dove viene chiamato. Ha i modi suadenti del southern gentleman, guanti neri dordinanza e laccendino zippo che fa clic clic. Come ogni bravo professionista sicuro delle proprie capacità, non fa sconti, e quando capisce che i soldi non ci sono fino alla riscossione del premio assicurativo, cerca di andare incontro ai malmessi committenti. Accetterà come deposito la giovane fanciulla. Rapido consulto familiare e affare fatto. Ma se poi qualcuno si mette in testa di gabbare Joe, che al diavolo dà del tu, lo sceriffo di Dallas con il doppio lavoro perde le buone maniere.
Quella a cui killer Joe presta i suoi servizi è lAmerica di quella categoria sociale spregiativamente detta white trash. La spazzatura bianca che va avanti con pochi soldi, poca scuola e tanta birra da bere nella casa roulotte.
Friedkin per dipingerla con i toni del noir grottesco, coinvolge lo spettatore in un bagno di abiezione morale da cui però non si esce turbati (ci dobbiamo sentire in colpa?), ma, tutto sommato divertiti.
Dallalto della sua ormai consumata maestria guarda Tarantino e i fratelli Coen e li saluta con più di una strizzata docchio, ma riesce a non essere emulo né delluno né degli altri. Niente canzonette pop dannata, niente bislacche citazioni bibliche. Ogni declinazione di questa abiezione, ogni bassezza sembra scaturire da un'umanità che è stata così plasmata, quasi fosse il frutto spontaneo di quel Texas che ha giorni dal sole accecante e notti cupissime. Tutto è normale, non cè mai consapevolezza, si delinque per somme risibili, per la sedia elettrica o linferno appena il tempo di un pensiero. Lunico sussulto di coscienza è proprio quello di Chris, ma ahinoi, un po troppo tardi.
La rappresentazione della violenza è quella di uneccellente partitura pulp. Si attende e puntualmente arriva, travalicando anche quanto visto in questambito fin ora. Non è tanto la copiosità del sangue che fa salire lasticella, ma le azioni spiazzanti di personaggi magistralmente costruiti e i dialoghi che le ornano. Ora, prima di sapere cosa decideranno le autorità preposte alla censura cinematografica negli Stati Uniti, si attende una reazione della Kentucky Fried Chicken per luso improprio del suo piatto forte, la coscia di pollo fritta appunto, che tra i modi di essere servita non prevede la fellatio. Ma anche a loro andrebbe spiegato: è tutto un gioco, dopotutto il film non si chiude con un sorriso?
|
|