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Una fonte esaurita?

di Elisa Uffreduzzi
  Terraferma
Data di pubblicazione su web 06/09/2011  

Dopo Respiro (2002) e Nuovomondo (2006), Emanuele Crialese torna a raccontare quella Sicilia e quei protagonisti fermi nel tempo e radicati nelle tradizioni che gli sono cari. Di nuovo è il paesaggio il vero protagonista del film, l’isola che fa da cornice alla storia (le riprese sono state effettuate a Linosa). Crialese mostra una forte attenzione alla natura e a quella siciliana in particolare: dal mare agli aspri scogli, alle zone più aride cosparse di piante grasse e arbusti secchi. La macchina da presa, come nei due film precedenti, si sofferma reiteratamente e a lungo sull’acqua, vero e proprio leitmotiv del film: svariate le inquadrature subacquee, che grazie alla durata dilatata e supportate da un adeguato mélange di musica e rumore d’ambiente assumono una valenza onirica molto suggestiva.

 


Una scena del film

 

Il rapporto dell’uomo con la natura, il radicamento nel territorio - inteso sia fisicamente che a livello spirituale come coacervo di ataviche usanze tramandate nel tempo (la pesca, l’autarchia dell’isola, il dialetto come forma di comunicazione pressoché esclusiva) -  sono temi ricorrenti nella filmografia di Crialese. Eppure proprio gli stilemi dell’autore, quel suo peculiare modo di attingere alla realtà senza rinunciare al lirismo - che ne fanno una sorta di tardivo erede del neorealismo alla De Sica - stavolta sembrano averlo in parte tradito. Terraferma ha perso la freschezza dei film precedenti, come se il regista si fosse ostinato ad attingere a una fonte ormai esaurita: la quotidianità, nuova e antica al tempo stesso, dei personaggi che è solito portare sullo schermo; l’aura di sacralità che pervade il rapporto tra uomo e ambiente; l’attenzione all’universo dei sentimenti e alla solidarietà umana in particolare: tutti questi preziosi elementi sembrano aver perso forza espressiva.

 

Viene spontaneo chiedersi come: raccontando la storia di una famiglia di pescatori che si compromette per trarre in salvo alcuni profughi dispersi in mare. La vicenda è umanamente toccante, ma ha il sapore di una favola disneyana. Immutata invece la maestria registica dell’autore che ricorre spesso a carrelli e panoramiche per soffermarsi sul paesaggio o ancora, nell’inquadratura finale in cui la piccola barca guidata da Filippo si perde tra le onde del mare, azzarda una ripresa aerea maestosa.

 


Una scena del film

 

Ottimo il cast, dal siciliano Mimmo Cuticchio a Donatella Finocchiaro e Giuseppe Fiorello. Torna anche l’attore-feticcio di Crialese, Filippo Pucillo, che si cala perfettamente nei panni del giovane pescatore; come gli altri, anche questo ruolo che il regista gli assegna sembra cucito addosso all’attore. Meno convincenti gli interpreti dei tre turisti del nord (per la recitazione da fiction televisiva) e il personaggio della clandestina che i protagonisti aiutano a partorire: anche verbalmente aderisce in modo imbarazzante al cliché del buon selvaggio. L’unica eccezione è costituita dal comandante della Guardia di Finanza di Claudio Santamaria: tuttavia anche questo personaggio – figura che ricorda l’Elio Germano di Respiro  - stigmatizzando lo scontro culturale tra nord modernista e sud tradizionalista finisce per dare forma a un altro luogo comune.

 

Crialese non ha perso il suo tocco, ma la sceneggiatura di Terraferma appare troppo elementare nella costruzione narrativa e nell’impostazione dei personaggi che mancano dei chiaroscuri morali necessari a conferire maggiore verità e credibilità ai loro caratteri.

 

 

Terraferma
cast cast & credits
 


La locandina




 
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