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Una gioventù da cartolina 

di Roberto Fedi
  "La meglio gioventù"
Data di pubblicazione su web 23/12/2003  
È difficile scrivere il proprio passato, specialmente se prossimo. Non c'è volta che, al cinema o in televisione, non si rimanga delusi: o per troppa leggerezza, o per troppa rudezza. In questo senso La meglio gioventù (il titolo è pasoliniano, com'è noto) fa eccezione: si è tenuta infatti su una media decorosa, su un tono accettabilmente distaccato, senza la pesantezza che di solito distingue queste opere di ricostruzione.

La storia si snoda a partire dall'estate del 1966, e segue le vite parallele di due fratelli di Roma, che avranno storie diverse in quegli anni di apprendistato alla vita e di trapasso. Tocca così, attraverso le loro vicende, i nodi del nostro recente passato.

È questo un modo non nuovo, ma nemmeno banale, di affrontare in senso romanzesco qualche decennio di cronaca che ormai si è quasi trasformata in Storia. È un merito non piccolo del regista Giordana quello di seguire con affetto e attenzione i suoi personaggi; e di essere, per quanto lo si può in televisione, sufficientemente credibile (al cinema le cose sono diverse: il 'mezzo' cinematografico impone ritmi meno lenti, personaggi meno semplici, 'nodi' romanzeschi più succosi). Nel complesso, quindi, l'opera è tutt'altro che banale, anche se francamente ci pare spropositato il clamore che aveva suscitato (per poi abbassarsi subito) al suo uscire nelle sale cinematografiche, sollecitato anche dal solito (e dài: ma possibile che qualcuno abbia sempre pronta questa vocazione al complotto?) sospetto di censura da parte della Rai, che ha tenuto il film nel cassetto per qualche mese. Cosa che ha nociuto, naturalmente, all'opera: che è, semplicemente, una corretta, levigata e patinata narrazione di eventi che furono, in realtà, ben più drammatici e convulsi. La parte finale, nella splendida villa con piscina nelle campagne toscane (cosa che, francamente, ci è sembrata ben poco tipica di una generazione e di un'epoca), è per esempio degna di Incantesimo; la scenetta dei due quasi cognati che, in un ambiente bucolico, scoprono di amarsi, con l'apparizione del fratello morto che li accompagna sul sentiero nel bosco e li abbraccia, è addirittura imbarazzante: neanche Liala avrebbe avuto il coraggio.

La meglio gioventù sta quindi in una via di mezzo: troppo lungo, senza essere avvincente, è un prodotto televisivo di sicuro superiore alla media delle ricostruzioni storiche 'made in Rai', con dietro un'idea (quella di 'rivedere' questi decenni con gli occhi di chi in quelli divenne adulto), e non semplicemente una voglia di audience. Per avere un esempio palpabile della differenza fra questa e altre (però più brevi) narrazioni di eventi, si pensi al recente Marcinelle, drammone per attori di seconda fila senza pathos né parte.

Cosa non ci convince del tutto, narrativamente parlando, a parte le imbarazzanti o irritanti scenette di cui sopra? Una volta ribadito che il film è degno di essere visto, a parte l'eccessiva lunghezza e i tempi allentati che sfiorano la noia in più di un'occasione, quello che lascia interdetti è la mancanza di un 'centro' narrativo sicuro. I due giovanotti in crescita, ad esempio, nella prima puntata fanno in tempo nell'ordine a: avere qualche problema in casa con i genitori (appena sfiorato e lasciato lì); capire che l'Università non fa per loro; incontrare una ragazza rinchiusa in una clinica psichiatrica un po' lager, e ahimè trattata con l'elettroshock, e farla fuggire non si sa verso dove (e senza incredibilmente essere inseguiti da nessun mandato di cattura); incontrare il di lei padre che non la rivuole in casa e un prete che li aiuta (e che li fa dormire insieme in una stalla: prete di idee avanzate, evidentemente); sapere che a Gorizia c'è una clinica dove i 'matti' sono trattati con metodi rivoluzionari; farsi portar via la ragazza dalla polizia (insensibile); sapere che a Marghera ci sono pericoli di avvelenamento; andare uno in Norvegia a scoprire l'amore libero e a sentir leggere Allen Ginsberg e farsi crescere barba e baffoni; arruolarsi per scontentezza nell'esercito l'altro (con inserti da vita di caserma standard: sergenti che urlano, ufficiali che urlano, e tutto il repertorio); arrivare indipendentemente a Firenze durante l'alluvione, e del tutto inverosimilmente incontrarsi nel piazzale degli Uffizi (vite separate di fronte: schematico); trasferirsi (quello con barba) a Torino al seguito di bella fanciulla bionda e partecipare alle lotte studentesche mentre sullo sfondo ci sono quelle operaie; arruolarsi in polizia l'altro; eccetera eccetera.

Un po' troppo per per due persone sole. E soprattutto senza 'nodi' narrativi forti, come dicevamo: ma seguendo una distesa, un po' monotona, successione di eventi, l'uno dietro l'altro, con qualche schematismo come - pardon - in un Marcinelle qualsiasi.

Opere così, forse anche per quel filo di noia che si diceva, sollecitano la caccia all'errore storico. Qui la ricostruzione è accurata: ma le scene dell'alluvione di Firenze - per limitarsi alla prima puntata: poi non abbiamo contato più - sono da soap opera (vista così, l'alluvione sembra una sceneggiatina fiorentineggiante, coll'omino che serve i' vvino 'on la 'arriòla); e quelle in Norvegia all'aperto con gli hippies che citano Ginsberg sono da ridere. Qua e là qualche imprecisione: all'epoca, i corsi all'università iniziavano dopo il 5 novembre. Quindi, il viaggiatore in Norvegia non può dire, in ottobre, che 'a quest'ora a Roma i miei compagni di corso entrano in aula' eccetera eccetera. E, sempre nella Firenze alluvionata, che i due fratelli temporaneamente ricongiunti trovino in un buio sotterraneo un codice miniato che galleggia, dove leggono senza problemi un testo in latino del 1126, non è improbabile: è impossibile.


La meglio gioventù

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La meglio gioventù


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