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La brumosa malinconia di Lisboa

di Adela Gjata
  Abito
Data di pubblicazione su web 13/06/2011  

«Stamattina un altro ha indossato il mio abito, è uscito di casa ed ha preso il mio posto nel mondo», sono queste parole-guida di Fernando Pessoa ad ispirare l’ultimo lavoro teatrale di Roberto Bacci. Abito è uno spettacolo scaturito dalla curiosità di dare corpo all’eteronomia pessoaiana, la forma mentis che generava gli alter-ego del poeta portoghese, artefici delle sue opere. Fu infatti il contabile Bernardo Soares a firmare quell’«autobiografia senza fatti», vagheggiata una vita intera e mai conclusa, nota come il Libro dell’inquetudine. Abito è, quindi, la scommessa di materializzare l’eteronomia latente in ognuno di noi, quell’ipotetica e immaginifica vita che vivremmo se solo potessimo travalicare la corazza della quotidianità; ma è anche la parabola dolente di chi, dopo aver assaporato le illusioni di qualcosa d’altro, è costretto a tornare alla routine consuetudinaria della normalità.

 


Foto di Roberto Palermo 

 

Lo spettacolo, o meglio la sua atmosfera, accoglie il pubblico prima ancora che questo trovi il suo posto nella penombra della sala. Rossastre ombre tremolanti si rispecchiano nel grigiastro spazio scenico, avvolto da suoni di chitarre latineggianti e corali canti popolari. Un uomo (Savino Paparella) ed il suo doppio-alter ego (Tazio Torrini) si staccano scambiandosi simultaneamente gli abiti fino a distanziarsi irrimediabilmente, divenendo l’uno il nemico dell’altro. Inizia così l’esperienza ‘eteronima’ del nostro protagonista che, in pigiama e pantofole, si immerge in una città (Lisbona forse) a lui sconosciuta, tra altri sconosciuti che lo coinvolgono, suo malgrado, in azioni strampalate. 

 

Gli abitanti della città sono un gruppo omogeneo di gentiluomini e gentildonne – abito e cappello nero, camicia bianca e calzini rossi – sempre in compagnia di biciclette, con le quali disegnano girotondi vorticosi, insinuano passi di ballo, si avventurano in acrobazie spericolate. È in mezzo a questo bizzarro coro di biciclette che il protagonista si perde, alla ricerca di un senso esistenziale che vada oltre la vita quotidiana. Deve affrontare però, in ogni momento, la folla lunatica che lo circonda, a tratti indifferente e voyeurista, altrove ostile o ammiccante. Il capopopolo, meschino commerciante e insieme diavolo tentatore, è l’efficace Francesco Puleo, che sposta il nostro primo attore, in una tortuosa processione funebre, verso l’epilogo. «Si rimetta la sua vita d’ordinanza, viviamo tutti travestiti»: sono le parole fatali dell'alter ego, o della coscienza se si vuole, che portano il protagonista verso la sua fine, sotto un vorticoso ammassarsi di biciclette.

 

Ritornano in quest’opera della Compagnia Laboratorio di Pontedera echi, tradizioni ed eredità maturati in quasi quarant’anni di attività: l’importanza delle prove, la scelta di lavorare con giovani attori, la concezione etica del mestiere, la scommessa di adattare al palcoscenico un testo narrativo, il ritorno delle scarpe – oggetti carichi di risonanze simboliche e affettive nei confronti del padre calzolaio del regista. Emergono, tra le pieghe dello spettacolo, l’allenamento psico-fisico degli attori e il valore simbolico attribuito all’oggetto scenico.

 


Foto di Roberto Palermo
 

Le precise ed efficaci azioni sceniche, l’energia trattenuta di natura extra-quotidiana dei movimenti, trovano la loro massima espressione nello scontro tra il protagonista e il suo doppio, una specie di lotta di Giacobbe con l’Angelo che si svolge sull’esile arco di una finestra barcollante. La finestra, unica àncora del protagonista errante, costruisce lo spazio scenico delimitando o contaminando i due piani dell’essere. L’oggetto scenico diventa, come in Amleto (2007), duttile ed efficace, secondo i preziosi insegnamenti grotowskiani. Gli undici giovani attori del coro delle biciclette riempiono e dinamizzano la grigia scatola del palcoscenico, generano strutture architettoniche, ballano sotto una pioggia di coriandoli, suonano fisarmoniche, tromboni e tamburi dall’alto delle selle concitate.

 

Se il pensiero intellettualistico su cui si poggia la mise en scène rischia di isolarsi in un'aura astratta e concettuale, sono gli elementi coreografici e musicali, abilmente composti da Anna Stisgaard (co-regista dello spettacolo) e Clio Gaudenzi a risuonare nella memoria dello spettatore. Questi briosi leitmotives, di forte potenza visiva, evadono dalla intricata drammaturgia esistenzialista firmata da Stefano Geraci e Bacci stesso.

 

 

Abito
cast cast & credits
 


Roberto Bacci



 
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