Metateatralità e imitazione questi i due ingredienti utilizzati da Franco Branciaroli per ladattamento del Don Chisciotte di Miguel de Cervantes Saavedra. Teatro classico e avanguardia si sfidano ‘vocalmente sulla scena. Si assiste ad una rievocazione verbale di Vittorio Gassman (Don Chisciotte) da una parte e di Carmelo Bene (Sancho Panza) dallaltra. Il regista, autore e protagonista seduto su una poltrona rossa – identificata come quella dellultimo Molière in scena – si muove dietro un sipario barocco che, in unatmosfera rarefatta, resterà sempre semiaperto fino alla fine dello spettacolo. In un ambiente atemporale, riempito solo da un bancone da bar colmo di bottiglie alcoliche e da una porta dalla quale apparirà più tardi il fantasma del poeta Dante, Branciaroli, lascia parlare gli altri calibrando i registri vocali, in un crescendo di accenti, vibrazioni, timbri, colore. Il regista-attore incarna le inflessioni, le pause, le sonorità, le tonalità dei due attori senza fatica alcuna, nonostante resti lontano dalla lezione di Carmelo Bene che aveva fatto della voce non il veicolo, ma latto teatrale stesso.
Questa della ‘rievocazione verbale è una prassi che Branciaroli ha già sperimentato nei suoi ultimi spettacoli dallispettore Clouseau proposto in Finale di partita, alle coppie artistiche di Stanlio e Ollio, Totò e Peppino alla prese con alcuni brani proprio del Don Chisciotte, in uno spettacolo di diversi anni fa a Rimini.
Franco Branciaroli
Il cavaliere hidalgo di Branciaroli ha il compito di giustificare lesistenza della letteratura e del potere del libro. Non è un personaggio, è un segno, è una penna che verga il mondo. Il potere del libro è da ricercare nel suo interno, esso è uno specchio nel quale la vita e gli spettatori non solo si rispecchiano, ma si confondono con lirreale, come in teatro, come in quellaldilà del proscenio che esiste ogni volta che va in scena uno spettacolo. Ed è proprio in questa eterna ricerca dellesistenza che la letteratura guida gli uomini, e ancora prima che il fato umano intervenga, il libro racconta la vita, la realtà. Gassman-Bene diventano in questa ricerca le due facce della stessa medaglia.
Branciaroli-Don Chisciotte sinterroga sulle eterne questioni umane: la verità, lentità dellindividuo e lamore. E per cercare spiegazioni ‘scomoda Dante, mettendo a confronto i due attori nella lectura del Canto V dellInferno e soffermandosi sullincontro di Paolo e Francesca, e su quellamore che li condusse alla morte. I due attori saranno giudicati dallo stesso Dante, che alla domanda su chi fosse stato più ‘bravo nella lettura, preferirà un terzo grande ‘assente, Giorgio Albertazzi. Il regista per tratteggiare lamore vagheggiato per Madonna Dulcinea ne descrive la ‘cara beltà con i versi di Leopardi, e folle come il furioso Orlando, si lascia trasportare dallillusione dellamore. Nella sua disquisizione, Branciaroli, evoca i grandi della letteratura e del teatro: Shakespeare, Camus, Beckett, Brecht.
E in qualità di attore sceglie di non portare sulla scena la morte di Don Chisciotte perché il teatro non può mettere in scena lanticipazione della propria scomparsa− nonostante, a nostro dire, la crisi ‘mortifera in cui versa lattuale situazione teatral-culturale italiana – e per questo il sipario non scenderà, ma resterà sospeso tra laldilà e laldiquà, e in questo modo Gassman, Bene e Branciaroli potranno ripetere allinfinito la rappresentazione, reinventandola ogni volta.
|
|