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What a wonderful world

di Roberto Fedi
  What a wonderful world
Data di pubblicazione su web 01/03/2011  

Ci dev’essere da qualche parte, certo nel Caso o nel Fato, una specie di regìa. Dunque: fine agosto 2010. Sparisce la bambina Sarah. Segue regolamentare accanimento mediatico, a cui (va pur detto) si sottopongono volentieri i familiari. No comment. Un paio di mesi dopo il corpo viene ritrovato. Segue regolamentare accanimento mediatico-bis, a cui si sottopongono eccetera. No comment-bis. Il caso piano piano si sgonfia, quand’ecco che (fine novembre 2010) sparisce la bambina Yara. Scarso accanimento mediatico perché i familiari non appaiono mai in Tv, il paese nemmeno, il sindaco non si fa vedere. Delusione (solo il prete, ogni tanto: pazienza). Risorge quindi dalle ceneri (è il caso di dirlo) l’onda mediatica, ossessiva e insopportabile, del caso numero uno, quello di Sarah. Che sta per affievolirsi (non se ne può davvero più) quand’ecco che, a tre mesi esatti dalla scomparsa, si scopre il cadavere di Yara.

 

I genitori non accettano nessuna intervista, e così anche il paese (salvo il prete). Ma  naturalmente l’occasione è ghiotta. Così, anche in assenza di interessati, tutti rigorosamente silenziosi e seri, come si fa a non approfittarne?

 

Il direttore della Rai ha chiesto sobrietà alle Reti, e ha fatto bene (nessuno lo ascolterà, ovviamente, in nome di una indecente libertà di espressione). Ma oggi, lunedì 28, ecco che in quella indecorosa trasmissione che è Pomeriggio sul Cinque, condotta da una Barbara D’Urso che ogni volta che la vediamo ci fa venire voglie omicide, di che si parla? Ma  del caso Yara, si capisce. Con ‘esperti’ in studio e in collegamento (ben quattro: esperti del nulla, di cui non facciamo i nomi perché ci fanno senso). E giornalisti on location.

 

Ma  prima, eh scusate, ci sono gli Oscar. Felicità della D’Urso, tutta pimpante. Servizio sugli Oscar, banale (ormai è aria fritta: tutti i Tiggì ne hanno parlato meglio). Poi, attenzione, nientepopodimenoché (diceva un secolo fa Mario Riva al Musichiere, che almeno non pretendeva di essere se non quello che era: una scemenza): servizio super sul colore degli abiti delle attrici. Cavolo, questa sì che è informazione. Apprendiamo quindi che il colore rosso sul cosiddetto red carpet è andato forte, ma che una o due indossavano anche il viola. Accidenti che disinvoltura (provatevi a farlo in teatro e vedrete che vi succede, ignoranti che non siete altro). Si torna in studio. Applausi, risate.

 

Poi, ‘a vista’, ecco che la faccia inespressiva della D’Urso  precipita. E ora, però (dice più o meno), dobbiamo parlare di un dramma. Eccoci arrivati al dunque. Faccina triste (facile, con quella faccia lì), e collegamento con due giornalisti o supposti tali. Uno è davanti al luogo dove “si sta svolgendo l’autopsia della povera Yara”, come annuncia la faccina triste e grigia (grigia, sempre). Il poveretto, in collegamento, non sa che dire: mica è dentro, è fuori. Quindi ripete che si sta svolgendo eccetera. Fine. Altro collegamento dal paese della vittima. Come informazioni, idem come sopra. Si intervista però quello che casualmente ha trovato il corpo, che dice poche parole e sembra veramente infastidito di essere lì. Fine dell’intervista. Si torna in studio.

 

Ma  prima c’è un collegamento con Alessandra Mussolini. Perché lei? Boh. La quale fa uno sguaiato comizio, sul quale chiudiamo disgustati.

 

Ci chiediamo: ma non esiste un ordine dei giornalisti capace di stoppare queste schifezze?

 

P.S. Vi chiederete perché abbiamo visto questa indecenza. Eravamo obbligati: sala d’aspetto del dentista, con Tv accesa. Non stiamo scherzando: quando è arrivato il nostro turno, ci siamo sentiti sollevati di andare nell’antro del carnefice. Abbiamo avuto l’impressione che il dentista lo avesse fatto apposta, a farci vedere quella roba. Così uno entrava da lui contento. Che è tutto dire.






 
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