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Dalle favole, alla tragedia, a disneyland

di Fabiana Campanella
  Grimmless
Data di pubblicazione su web 23/02/2011  

In tempi sanremesi, sarebbe divertente vedere sullo stesso palcoscenico un bel quintetto a cappella tutto cuore e amore, e i cinque disperati senza più sogni e senza più favole messi in scena da Ricci/Forte, con cinque microfoni in fila. Come se i primi cantassero le illusioni, e gli altri la realtà, nella sua crudezza. A teatro vediamo il pubblico della kermesse quotidiana rivomitato sul palcoscenico, a urlare lo schifo per i luoghi comuni, a dialogare come su facebook, a cercare l’oblio senza più domande.

 


Un momento dello spettacolo
 

Non sono certo nuovi alla veemenza di immagini e suoni Stefano Ricci e Gianni Forte, l’uno di Roma, l’altro di Trani, drammaturghi e registi già definiti enfants terribles per le loro iconoclaste riscritture dei classici (Ovidio con MetamorpHotel, Marlowe con Wunderkammer soap, Virgilio con Troia’s discount, Ariosto con 100% furioso, Aristofane con Ploutos, Shakespeare con Troilo vs Cressida, Dennis Cooper con Macadamia nut brittle, Harold Pinter con Pinter’s anatomy e un prossimo progetto su Chuck Palahniuk, Imitationofdeath): quando vai a vederli sai che devi tenerti forte, come un giro sulle montagne russe. Grimmless ti inonda di risate, lacrime piagnucolose e decibel: sin dall’inizio le maschere da sub, con cui due attori si fotografano con il pubblico come gli ospiti di un matrimonio, lasciano intuire la liquidità dello spettacolo. Poi arrivano gli spari, finisce la festa, inizia la tragedia. E nessuno visse felice e contento. Lo schema è ripetitivo quanto ossessivo: delirio collettivo con musica rockabilly a tutto volume / telecomando, switch / monologo di personaggio ex-fiabesco che racconta la sua storia. Poi di nuovo salti, balli e timpani sfondati al suon della peggior techno da balera contemporanea / telecomando, switch / Cappuccetto Rosso che distrugge a colpi di motosega il suo corpo infantile vestito da ballerina: «Sognare è la corsia preferenziale per sputtanarti la vita».

 

E così in un susseguirsi di volumi estremi sfilano Barbie e Ken, transessuale trucidato nella casetta col tetto rosa, che scrive via sms alla sorella prima di morire «Se solo non mi puzzasse di sedere il cuore». E Pollicino, che rinuncia a cercare le sue briciole, blasted come un personaggio di Sarah Kane, si fa raccogliere in autostrada in preda a una crisi di astinenza mentre ripete: «Non superare mai le dosi consigliate».

 


Un altro momento dello spettacolo

 

Nel crescendo più sonoro che emotivo di tensione, c’è spazio anche per una scena di emarginazione e ultraviolenza: veri schiaffi e veri lividi all’amica uscita dal gruppo, per oziosa cattiveria da drughi, per supposta misoginia degli autori, per la foto clou da mandare ai giornali, per gli sguardi allenati al physical theatre europeo. È sempre irrisolto e contraddittorio il contrasto tra dolore reale e convenzione teatrale, assuefazione alla violenza e volontà di stupire. Non sempre le sacrificate performance degli attori hanno l’efficacia del sangue di Franco B o Marina Abramović, che pure hanno smesso da anni di provocare il pubblico con le loro ferite. Se agli spettatori appartiene almeno un po’ del cinismo degli attori in scena, non scattano nemmeno la compassione e il disgusto un tempo destinati ai pesci rossi e all’astice di Rodrigo Garcia. Solo la sensazione di una ricerca vuota per l’emozione forte, che non arriva. Come nella realtà, del resto.

 

E ancora musica, più onirica, sempre fortissima, da viaggio. Sempre più maceri, con cinque valigie colorate, Anna Gualdo, Valentina Beotti, Anna Terio, Andrea Pizzalis e Giuseppe Sartori risplendono del kitsch dei loro vestiti: con la rana di plastica in tasca, i giacchetti di acetato sgargiante, le calze a quadri rosse, la maglietta coi supereroi, e la bacchetta magica di carnevale, quella da pochi euro al supermercato.

 


Un altro momento dello spettacolo

 

Le mele della strega maligna si spargono per terra e diventano il tappeto di un’ultima fiaba dark, che le raccoglie tutte: «C’è una cosa che non ho mai detto a nessuno. Sono morta un sacco di volte. Quando mi sono allacciata le scarpe da sola; quarantotto ore dopo sapevo già fare il fiocco. Quando ho scoperto che mio padre non aveva appeso il mio disegno in ufficio». Nella straziante confessione della bravissima Anna Terio a testa in giù, si asciuga in un colpo lo sfilacciamento drammaturgico dell’ora precedente: il mondo fantastico di una Biancaneve dimenticata, sfonda l’immaginario infantile e lo traduce nel dramma della consapevolezza adulta. Grimm-less, appunto.

 

Più volte riparte l’avvio di una favola nostrana: «C’era una volta un Paese a forma di scarpa, e adesso non c’è più». Quel Paese e quella bandiera ricompaiono in forma di bara, ma i funerali di Stato della TV diventano a teatro il rito catartico degli attori nudi cosparsi d’oro, in una scena di splendida poesia, sommersa dalla nevicata finale. Il bianco dello sguardo algido dell’attrice/Minnie in locandina, si traduce nel calore vellutato di una neve pronta a infangarsi, che restituisce l’alone tragico, e trendy, della contemporaneità.

 

 

Grimmless
cast cast & credits
 

Un particolare della
locandina




 
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