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Qualche volta ritornano

di Roberto Fedi
  Soubrette
Data di pubblicazione su web 22/06/2003  
Non è detto che il 14 ottobre 1983 sia una data destinata a rimanere, come quella di due giorni prima (ma si era nel 1492). Vi ricordate qualcosa del 1983? Come presidente della Repubblica c'era Pertini. Cadde ovviamente un governo, presieduto da Fanfani. Si svolsero le elezioni anticipate, e anche questa non era certo una novità. Si votò a giugno, più o meno in questi giorni, e la DC perse e andò al minimo storico (ah, se avessero saputo quello che stava per succedere nove anni dopo). Vinse il PSI di Bettino Craxi, che divenne Presidente del Consiglio (come sopra). Fu in genere un anno poco movimentato: Federico Fellini diresse E la nave va, che ebbe scarso successo e gli costò mancati finanziamenti per altri film (oggi tutti lì a dire che era un genio eccetera eccetera: era meglio se l'avessero detto allora). Sergio Leone fece uscire C'era una volta in America. In Italia si pubblicava Palomar di Calvino. Si isolò il virus dell'Aids, ma lo studente Fred Cohen, in America, inventò il primo virus da computer, dando così un sacco di problemi a tutti e indirettamente, a posteriori, un sacco di soldi alla Symantec, che produce il Norton Antivirus.

Insomma, un anno come tanti. Ma il 14 ottobre zitto zitto uscì fuori su Italia Uno un gruppetto di svitati (o almeno sembravano tali) che si mise a fare Drive In. Che durò anni, e che oggi su Canale 5 si replica in prima serata in occasione dell'anniversario, venti anni dopo. La prima puntata, mercoledì scorso, ha fatto registrare il top degli ascolti per quel giorno.
 
Come in tutti i ricordi che si rispettano, anche noi ce lo ricordavamo meglio. Anzi, lì per lì siamo rimasti anche un po' delusi. Ma, ripensandoci, abbiamo anche capito che il nostro era un difetto di prospettiva: come accade quando si guarda con il teleobiettivo, tutto si schiaccia. Quindi, cerchiamo di essere storici.
 
Drive In rappresentò, allora, una mezza rivoluzione. Non per tutto quello che si vede: battute abbastanza irriverenti, personaggi strampalati, ambientazione insolita (un parcheggio di un drive in, appunto), regia con stacchi poco consueti allora e oggi consuetissimi (forse è l'aspetto meno salvabile, e a rivederlo anche piuttosto banale nonostante tutto), donnine con la cinque di seno e fondoschiena in primo piano, e così via. Tutto questo, dopo, l'avremmo visto anche nei telegiornali, o quasi; e non è detto che averlo fatto per primi sia un merito.
 
La rivoluzione fu la velocità. I programmi di intrattenimento abituali allora (e anche ora) erano lenti, soporiferi, costruiti come un racconto: entrava il comico o il presentatore, o tutt'e due, e iniziava una narrazione inframmezzata da battute. Con un prima, un durante, e un dopo. Antonio Ricci e i suoi ebbero, per la Tv di intrattenimento, la stessa salutare funzione delle avanguardie: spezzarono la sintassi, privilegiarono le ellissi, ruppero la struttura. Drive In stava ai programmi tradizionali un po' come stava ai romanzi naturalistici il Calvino di Se una notte d'inverno (che era uscito quattro anni prima: del resto, Ricci aveva studiato Lettere a Genova), che partiva dalla constatazione che ormai era solo possibile, forse, l'incipit: il 'tempo' della narrazione distesa era finito, strapazzato, frantumato.
 
La grandezza di Drive In, che ancora oggi stupisce, consisteva appunto nella struttura, che inglobava così anche gli 'stacchi' della pubblicità, anzi li esaltava: tutto, di fatto, era una serie di 'stacchi', rapidissimi. Tutto era intrecciato. Poco conta allora che quelle donnine, a vederle oggi, sembrino quasi ingenue; che i comici, quasi tutti, abbiano poi in seguito fallito, in trasmissione diverse e soprattutto con 'tempi' diversi; che la regia appaia tutto sommato approssimativa. Quello che capirono tutti, e che oggi è ancora più chiaro, era che il prodotto 'in sé' era nuovo, e anche comico: proprio nella struttura, irridente della normalità. Tutti? non proprio. In un suo libro del 1992, I programmi che hanno cambiato l'Italia (Feltrinelli), Walter Veltroni pensosamente si interrogava. "Confesso che ho peccato - scriveva, dimostrando ancora una volta che l'ironia non s'impara - Mi sono interrogato se dire a me stesso una tremenda, amara verità. So che mi costerà l'emarginazione [e saltiamo un po' di righe inutili], il rimprovero di essere un moderato, un conservatore, un reazionario, forse anche un comunista. Io Drive In non l'ho mai capito". Meno male. Ci saremmo preoccupati, in caso contrario.

Drive in

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