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Cronisti atletici

di Roberto Fedi
  Fiona May
Data di pubblicazione su web 23/06/2003  
Fra le belle cose che tornano con l'estate, oltre il sole e il mare, c'è anche l'atletica leggera. Che è un piacere a vedersi. Il problema, anche qui, non sono le immagini, spesso eccezionali. È il commento. Accade qui esattamente la stessa cosa, ma con valori opposti, che nel ciclismo, e di cui abbiamo già parlato. Lì i due commentatori Camomilli (pardon: Bulbarelli) e Cassani ancora un po' e si addormentano. Qui, nell'atletica, sembra invece di essere a una gara di velocità degli speaker. Ci spieghiamo meglio.

Sabato 21 giugno, primo giorno d'estate, va in onda su Rai Tre, da Firenze, la finale di Coppa Europa a squadre d'Atletica leggera. Spettacolo notevole. Belle immagini, anche se ne abbiamo viste di meglio in passato: ma lo spettacolo è bello di per sé, anche con una regia media. Commentano Franco Bragagna e il suo collaboratore fisso, di cui ci sfugge il nome. Qui spuntano i problemi.

Perché forse ci sbagliamo, ma secondo noi c'è una notevole differenza fra la radio e la televisione. Perché alla televisione (qualcuno a questi qua dovrebbe spiegarglielo) ci sono le immagini: ergo, la tecnica del commento ha da essere un po' diversa. Sembrerebbe lapalissiano. E invece.

In televisione il protagonista, checché ne pensino questi narcisisti, non è il telecronista: è l'atleta. Ci dispiace per loro, ma è così. È inutile e ridondante, per esempio, che questo spieghi 'con parole sue' - di solito migliaia di parole - quello che ogni spettatore ha già visto da sé (questa, per esempio, è la pecca di tutti i cronisti delle partite di calcio): che il Tale ha saltato, che la Tale sta per partire, che il Talaltro ha buttato giù l'asticella. Lo si dovrebbe notare per dovere di cronaca, e stop. E questo è niente. Perché è insopportabile che il cronista - Bragagna in questo è insuperabile - smitragli per ore senza neanche rifiatare dati, tempi, nomi e cognomi, nomi delle atlete da sposate e da nubili, record di tutti i tempi e di tutti i luoghi; e poi tempi e dati, misure, mezze misure di ieri, di ieri l'altro, magari di domani. Si ha l'impressione che gareggi anche lui. Come se dicesse: volete scommettere che per due ore non sto zitto un secondo? Non scommettete: che ci si creda o no, ci riesce sempre.

Si tratta, tra l'altro, di un'esibizione un po' facile: di fatto, costui legge a precipizio quello che appare sul display del suo computer. Non basta. Finora il collaboratore 'a latere' di Bragagna si limitava a interloquire in quella tempesta di dati, di cui nemmeno uno rimane nella memoria, con una certa timidezza: un paio di aggiornamenti, e poi il Bragagna lo sommergeva di nuovo. Tanto che ci era sempre sfuggito anche il nome. Quest'anno, almeno a sentire la trasmissione del 21 giugno, il collaboratore dev'essersi detto: e io? Che ci sto a fare qui, il valletto?
 
E quindi anche lui giù a tutto spiano: dati, nomi, record… Così, due ore bellissime di sport diventano due ore d'ansia, di esagitazione, di scioglilingua, di dati date record nomi cognomi misure tempi medaglie. Senza nemmeno due secondi (abbiamo controllato la registrazione) di silenzio. I due commentatori erano così esagitati (ma perché invece che agli atleti la prova del doping non la fanno a loro?) che non accettavano neanche per un attimo che l'altro avesse la parola. Quindi facevano a gara a chi parlava di più, a dire per primi il tempo, la misura, il record. Le voci si sovrapponevano - cosa inaudita, in televisione - e non si capiva niente. Tanto da rendere una sofferenza una trasmissione di per sé bellissima.

Uno strazio. Quando la staffetta 4 x 100 maschile ha vinto la medaglia d'oro si è raggiunto il parossismo. Tutti e due a urlare. Non si è capito nulla: che tempo avessero fatto, chi fossero quei quattro, se erano veramente loro. Per favore, chiamate Camomilli (pardon: Bulbarelli). Che li sottoponga a uno stage, che li calmi. Che se ne stiano un po' zitti, per la miseria. Mica gareggiano loro, in fin dei conti.

Coppa Europa a squadre d'Atletica

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