Onegin di John Cranko, ispirato allomonimo “romanzo in versi” di Aleksandr Puškin, fa parte di quella importante collana di balletti narrativi che hanno arricchito la letteratura coreutica del secondo Novecento e rappresentato un temibile quanto affascinante banco di prova per danzatori e danzatrici che si reputino degli interpreti. Logico dunque che un artista del calibro di Roberto Bolle, giunto allapice della carriera nella messinscena di balletti del repertorio ottocentesco, voglia cimentarsi in ruoli più ‘moderni in cui mostrare le sue potenzialità drammatiche e crescere come ‘attore di danza.
In effetti la riduzione coreografica del romanzo di Puškin, creata da Cranko su musica di Čajkovskij per il Balletto di Stoccarda nel 1965, necessita della presenza di un vero ‘attore di danza, che sappia portare sulla scena un annoiato dandy della società pietroburghese di primo Ottocento e la renda credibile tramite unarte afasica ma, paradossalmente, in grado di comunicare forse e ancora di più delle stesse parole.
Il balletto, presentato al Teatro della Scala di Milano, ruota intorno a Onegin, un “giovin signore” insoddisfatto, inquieto, attanagliato dalla noia e dallalbagia. Tutto comincia nel giardino della casa della vedova Larin dove le figlie Tatjana e Olga si divertono con delle amiche, quando arrivano il poeta Lenskij e lamico Onegin in visita da Pietroburgo. Leroe maledetto, bello e dannato, colpisce subito la fantasia e il cuore della timida e romantica figlia maggiore dei Larin, Tatjana, mentre Olga, più allegra e volitiva, flirta con Lenskij. Lazione si sposta nella camera di Tatjana dove la ragazza scrive una lettera damore a Onegin e poi, specchiandosi, sogna il volto dellamato che le rivela di corrispondere il suo sentimento.
Anche il secondo atto si apre nella dimora dei Larin, dove Tatjana festeggia il suo compleanno e aspetta da Onegin una riposta alla missiva. Il giovane però in modo sprezzante straccia davanti a lei la lettera e per divertirsi corteggia Olga, suscitando le ire di Lenskij che lo sfida a duello. Evgenij sarebbe pronto ad una riappacificazione ma il rifiuto categorico di Lenskij, sordo anche alle preghiere di Tatjana e Olga, porta alla catastrofe. Onegin lo uccide con un colpo di pistola.
Passano dieci anni e il terzo atto si apre sulle sontuose e aristocratiche sale del palazzo del principe Gremin, marito di Tatjana. La donna, pallido ricordo dellingenua e disprezzata provinciale, è ora una gran dama, elegante e sofisticata, protagonista del ballo di casa Gremin. Appare Onegin, un uomo distrutto nel fisico e nellanimo che, vedendo Tatjana, si accende di passione e cerca in ogni modo di comunicare con lei. Le manda una lettera e Tatjana pur riluttante accetta di riceverlo.
Nel drammatico incontro Tatjana confessa di amarlo ancora ma, nello stesso tempo, proclama la sua fedeltà al marito stracciando la missiva di Onegin che, disperato, comprende ora, ma troppo tardi, il suo errore.
Storia semplice, il balletto, come il romanzo, ha il suo punto di forza nellintreccio di passioni di Tatjana e Onegin, accentuate dal confronto con quelle dei co-protagonisti Olga e Lenskij, in una continua giustapposizione di sentimenti ed emozioni tradotti da precisi ‘segni coreografici come le scene corali, gli assoli e i passi a due.
In questa applaudita messinscena, resa ancora più accattivante dalle imponenti e ariose scenografie di Pier Luigi Samaritani, i bei costumi di Samaritani e Roberta Guidi Di Bagno e la musica di Čajkovskij, eseguita dallOrchestra della Scala ben diretta da Ermanno Florio, il Corpo di Ballo non delude nel rendere latmosfera allegra e spensierata del valzer in casa Larin per il compleanno di Tatjana e in quella seriosa e affettata della polonaise a Palazzo Gremin. Proiezione la prima dellingenuità di Tatjana e la seconda del controllo emotivo di una donna oramai padrona del proprio destino.
Anche gli assoli, nerbo della poetica di Cranko, diventano un inequivocabile ‘segno per dipingere il carattere di Onegin nel primo atto, quando impone la sua presenza con tutta una serie di legati e pose accademiche che esprimono la sua lacerazione interiore.
Lo stesso Lenskij, il poeta idealista che romanticamente sceglie la morte come affermazione di sé, ha il suo assolo e il bravo Antonino Sutera ne accentua il virtuosismo per mettere in luce la distanza da Onegin, che balla più raso terra per il peso che grava sulla sua anima, e la gioia del suo legame con Olga. Una Daniela Cavalleri deliziosa, vivace eppure disperata nellinutile tentativo di dissuadere lamato dal tragico duello.
‘Segno inconfondibile di questo ‘romanzo coreografico di Cranko è però il pas de deux che sottolinea linizio e la fine dellinfelice amore di Tatjana e Onegin.
Maria Eichwald del Balletto di Stoccarda, memore di straordinarie interpreti come Marcia Haydée, Carla Fracci, Alessandra Ferri, sa evocare le illusioni di Tatjana fanciulla, quando immagina Onegin tra eleganti volteggi, acrobatiche prese e eterei lifts, e la consapevolezza di Tatjana donna, quando da vera eroina romantica con una danza austera e imperiosa soffoca i suoi sentimenti e dice addio alla felicità.
Roberto Bolle, che debutta nel ruolo di Onegin alla Scala, pur nella generosità e dedizione con cui affronta il ruolo, di cui si ricordano le magistrali interpretazioni di Richard Cragun, Rex Harrington, Massimiliano Guerra, Manuel Legris, non mostra a pieno la caratura drammatica necessaria in quanto resta troppo olimpico, troppo classico.
In questo Onegin ‘bolliano lolimpicità, visibile fin dalla prima entrata dellartista in tutta la sua apollinea bellezza, soverchia la ‘romanticità e la costringe in atteggiamenti e gesti più di maniera che sentiti, almeno fino al terzo atto quando Roberto riesce ad essere più Onegin e meno Bolle e a regalarci una chiusa convincente e drammaticamente romantica. Chiusa che fa ben sperare per il futuro ‘attoriale di Bolle che sembra aver solo bisogno di ricordare la lezione di Lee Strasberg. Il celebre direttore dell Actors Studio di New York che, rielaborando il metodo Stanislavskij, insegnava un training dellattore su se stesso più che sulla costruzione del personaggio.
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