Per chi non avesse letto il libro da cui il film è stato tratto, venti sigarette sono più o meno quelle che Aureliano Amadei, autore delluno e dellaltro, ha fumato nella sua brevissima permanenza a Nassirya. Era infatti arrivato in Iraq da meno di un giorno, per lavorare a un film come aiuto del regista Stefano Rolla, quando rimase coinvolto nel devastante attacco sucida che lasciò sul terreno diciannove italiani tra carabinieri, membri dellesercito e civili (tra cui lo stesso Rolla) il 12 novembre del 2003.
Sette anni dopo la deflagrazione, le ferite e le polemiche, Amadei affida alle immagini il compito di raccontare cosa è stato lattacco di Nassirya per lui e quali segni abbia lasciato su anima e corpo.Venti sigarette non ha infatti lambizione di raccontare la guerra in Iraq e di voler scrivere qualche parola definitiva sulla tragedia (tuttora in atto): dà la testimonianza di uno che è uscito vivo dal carnaio. E alla fine ci sembra di conoscerlo bene Amadei, interpretato da Vinicio Marchioni (un volto ormai familiare a molti dopo il ruolo del Freddo nella serie Tv Romanzo Criminale). Ci sembra di provare il suo stesso disorientamento nel passare dai graffiti dei centri sociali in cui si discute di aggressione imperialista a un deserto occupato da autoblindo e tende militari e respiriamo la stessa tensione, quando veniamo a sapere che la guerra proprio finita non è. Si palpa poi quella calda immediatezza che hanno talvolta gli esseri umani nello stabilire rapporti di sincero e profondo rispetto anche se appena si conoscono e sono molto diversi tra di loro.E siamo con lui anche nel disordine, nel caos della battaglia, quando ciò che accade, ciò che si vede e soprattutto ciò che si ricorda è confuso e ambiguo, quando la ruvidezza della macchina a mano e soggettive pronunciate e prolungate ci consegnano alcune tra le migliori immagini del film, crude e toccanti.
Venti sigarette ha proprio nella sua parte centrale, dallarrivo alla base fino al rientro ferito in Italia, il suo svolgimento più felice. Fuori da questo segmento quello che stride e intacca il film è invece un registro ironico mal bilanciato con il resto, sia nel presentare lAureliano avanti Nassirya che nel raccontare la sua convalescenza. Ne risentono soprattutto le caratterizzazioni di certi personaggi (non Claudia però, interpretata da Carolina Crescentini), forse ritenute necessarie alla connotazione del protagonista.
Tutto quello che un film su Nassirya potrebbe aggregare, dalle polemiche sullintervento italiano alle responsabilità, ai molti strascichi che vicende di questo tipo si portano inevitabilmente dietro, viene solo accennato, sussurrato e di certo non per negligenza. Risuonano appena più forti le parole del protagonista contro la vacua retorica dellomelia, ma anche queste diventano unoccasione per farci capire cosa sente Aureliano e come è cambiata la sua visione delle cose. Dopotutto lopera prima di Amadei non è il film di denuncia che vive di ipotesi e ricerca della verità, non serve a riaprire pagine chiuse o in via di chiusura. È il racconto di chi cera. Di uno che ha attraversato la sua linea dombra saltando in aria, e che, per arrivare a una verità che vada oltre delle semplici perizie tecniche deve ricordare, soffrire e comprendere qual è la sua posizione in quel doloroso tutto.
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