drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti
cerca in vai

Il lato freddo della Grecia

di Luigi Nepi
  Attenberg
Data di pubblicazione su web 08/09/2010  

Un film greco in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia è, di per sé, già un avvenimento, se poi a dirigerlo è una delle autrici multimediali (danza, teatro, televisione, videoarte) più note a livello internazionale come Athina Rachel Tsangari, ecco che le aspettative si fanno ancora maggiori, ma non sempre i presupposti trovano conferma nei risultati. Oltretutto Athina Tsangari punta esplicitamente al più classico e conosciuto dei binomi greci: “eros e thanatos”, amore e morte, ovvero il senso più profondo della vita, però sembra quasi che ritenga il cinema inadatto ad affrontare “da solo” un simile argomento e quindi senta il bisogno di contaminarlo con altre forme di espressione artistica, come il teatro e la danza, che fin dalle prime inquadrature prendono il sopravvento, riducendo, spesso, il cinema a semplice tecnica di ripresa.

Attenberg (titolo che deriva dalla storpiatura del cognome del documentarista inglese Sir David Attenborough) ci presenta la storia di quattro personaggi: una ragazza emotivamente e sessualmente al limite della frigidità, suo padre malato terminale di cancro, la sua amica tanto disinibita quanto incapace di innamorarsi e un ingegnere, venuto a controllare la raffineria dove lavora la ragazza, al quale lei fa da autista e che lei finisce scegliere come colui che la dovrebbe iniziare al sesso.

Il film inizia in modo molto provocatorio con un lunghissimo e goffo bacio saffico tra la protagonista e la sua amica, che vuole insegnarle come baciare, ma basta lo sviluppo di questa scena, il primo stacco di montaggio, il passaggio dalla mezza figura alla figura intera delle due ragazze davanti ad un muro bianco, vedere i loro movimenti e la loro recitazione, per avere la netta sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa che ha più a che fare con il teatro filmato che con il cinema, una sensazione che si fa sempre più forte man mano che la pellicola scorre, tanto che la regista ricorre anche ad un surreale “coro muto”, che fa da vera e propria interpunzione ritmica al racconto, dove le due ragazze, vestite sempre nel solito modo, danno vita ad una danza che appare un chiaro omaggio alle coreografie di Pina Bausch.

Proprio per l’evidenza del registro che sono chiamati ad usare, gli attori danno tutti un’ottima prova delle loro capacità a partire dalla bella protagonista Ariane Labed, che restituisce molto bene quel misto di ingenuità, freddezza e programmatica ricerca della propria identità sessuale; mentre la faccia segnata ed il fisico sofferente di Vangelis Mourikis (molto famoso in patria) sono perfetti per il padre sarcastico, che affronta la morte con la tranquillità e la normalità tutta razionale di colui che si trova di fronte ad un evento imprescindibile della vita; anche Evangelia Randou ha la giusta, sfacciata vitalità disinibita richiesta per il suo personaggio, così come Yorgos Lanthimos esprime il giusto imbarazzo di chi si trova ad essere inaspettatamente oggetto di esplicite attenzioni sessuali da parte di una bella ragazza.

Sebbene si voglia mostrare l’uscita da una condizione di repressione affettivo-sessuale e la conseguente liberazione dei corpi (anche nella loro esplicita nudità), il film rimane sempre freddo e distaccato come la sua protagonista (che preferisce, comunque, rifugiarsi nei documentari di Attenborough che affrontare il rapporto con gli altri) e come quella strana parte di Grecia che ci presenta: piovosa, fangosa, bagnata da un mare nero e quasi sempre priva di sole come se fosse un paese del nord e non il più caldo dei paesi europei. Uno straniamento dei luoghi che, tutto sommato, è molto efficace perché svincola il film da una collocazione geografica precisa, dandogli paesaggisticamente una valenza assoluta, coerente con i temi fondamentali che vuole affrontare.

L’idea del percorso mostrato dalla Tsangari è, di per sé, molto interessante e la regista evidenzia un gusto della provocazione ed anche qualche punta di ironia, che raramente si trovano in opere come questa, ma ciò non basta per riscattare quella sensazione iniziale che lei non consideri il cinema un mezzo all’altezza per i concetti che vuole esprimere; come non basta un uso stilisticamente massiccio dei carrelli (laterali, a precedere, a seguire, ottici, meccanici, su binario, su auto, con steady cam) perché automaticamente ciò che viene mostrato diventi cinema, così come non basta far uscire di campo le due ragazze, che hanno appena disperso in mare le ceneri del padre, e mantenere una lunga inquadratura finale fissa di 5 minuti, sul fangoso cantiere della raffineria per pensare di poter raggiungere la poetica della dilatazione e della durata di Bela Tarr.

La Tsangari dimostra di avere tante cose importanti da dire, di possedere lo spessore artistico per poterle sostenere e di essere in grado anche di fare grandi film, basterebbe, però, che dimostrasse di avere un po’ più di rispetto e di fiducia nel cinema in quanto tale.

 

Attenberg
cast cast & credits
 



 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013