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L'Italia è mesta

di Roberto Fedi
  Foto dal coro dell'orchestra
Data di pubblicazione su web 03/06/2003  
Fa piacere che da qualche anno, per volontà del presidente Ciampi, siano state ripristinate le celebrazioni del 2 giugno. Siamo o non siamo una Repubblica? E quindi festeggiamone la ricorrenza, che diamine.

Questo direbbe qualsiasi persona con la testa sulle spalle, e non solo con l'elmo di Scipio di cui cingersela. Così il 2 giugno su Rai Uno la mattina a partire dalle 9 ci siamo visti la sfilata. Spettacolare, commentata da Paolo Giuntella, Monica Maggioni, Giancarlo Mingoli, e fortunatamente senza Paola Saluzzi, che fino all'anno scorso la rendeva insopportabile. Ma la sera prima, sempre su Rai Uno, c'era la trasmissione in prima serata dedicata appunto alla Festa: Fratelli d'Italia, condotta da Milly Carlucci. È qui che ci ha preso la mestizia.

Lo confessiamo senza reticenze: dopo la trasmissione della Carlucci avevamo quasi deciso di scrivere una sommessa ma ferma lettera al presidente Ciampi chiedendogli un ripristino 'al contrario', cioè di tirarci un frego sopra e non farne nulla, lasciando tutto come prima. Perché solo chi non l'ha vista può ritenere che lì si stesse parlando di Repubblica, d'Italia, e insomma può continuare a sperare che questa che ci ostiniamo a chiamare nazione sia, almeno nella rappresentazione che ne dà la Tv di stato, una cosa seria.

Immaginiamo una trasmissione così in Francia, in America, in Canada, in Germania, in Spagna, in Inghilterra o dove vi pare in tutto l'orbe terraqueo. Probabilmente vi si parlerebbe di Nazione, di storia, di attualità, di arte e cultura o vattelappesca: insomma di tutto ciò che rende quello Stato una comunità, con un passato, una memoria, storie e scelte condivise. Magari anche con un po' di retorica, che ogni tanto male non fa.

Di certo - tanto per cominciare bene - non avrebbero chiamato a presentarla Milly Carlucci, o una sua omologa. Non perché la signora non abbia presenza, per carità. Non perché non sia una bella donna, ci mancherebbe. Ma ad ognuno il suo mestiere: finché si tratta di sfilate di moda, di canzonette, di sorrisi a 32-denti-32 per presentare il nulla: niente da dire. Ma qui si parlava d'altro.

Invece, alla Rai, niente si può fare, neanche la trasmissione sulla Festa della Repubblica, che non cada nella sindrome Domenica In. Che ha queste altalenanti caratteristiche: canzonette, e un po' di bambini; un paio di attori o cantanti per farsi pubblicità, e una chiacchieratina con un militare in servizio di pace nel mondo; un balletto, e un po' di bontà per qualche impresa di volontariato; un po' di stilisti, e magari una pattuglia dell'esercito; due o tre musichette, e un medico per la pace; qualche sportivo, e un po' di pietas sui poveri bambini che muoiono di fame nel mondo. C'era anche Gian Piero Galeazzi in collegamento: quando è troppo, stroppia. Ce ne siamo andati a celebrare qualcosa di meno sbracato da un'altra parte.

La Carlucci, che come abbiamo detto sembrava che presentasse una sfilata di moda a Porto Cervo o a Piazza di Spagna, e qualche volta anche una fiera di paese, ha sentenziato all'inizio che gli italiani sono naturalmente un grande popolo perché hanno "cuore e fantasia". A forza di sentircelo dire, a forza di vedere le Carlucci e il modello Domenica In, a forza di sciropparci questa Rai e queste celebrazioni, questo Telethon perenne, questo spettacolo sciocco e superficiale su tutto e per tutto, abbiamo un desiderio. Di questo stereotipo di italiano 'modello Rai' che canta, che crede che il vertice della cultura siano gli stilisti, che ha buon cuore, che tira pacche sulla schiena a tutti nel mondo, che si arrangia con la fantasia, che canta le canzoni napoletane anche per il 2 giugno, che è buono per definizione, non ci sentiamo concittadini. Questo il desiderio: chiediamo la cittadinanza di una nazione purchessia, purché senza fantasia e senza cuore, e dove non ci si debba sempre sentire "guagliuni". Vorremmo riuscire a diventare anche noi, prima o poi, un po' pragmatici e un po' cattivi.

Fratelli d'Italia

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