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Un'opera magmatica

di Giovanni Fornaro
  Jayne Casselman - Scott MacAllister
Data di pubblicazione su web 06/07/2010  

ll teatro Petruzzelli è in piena attività. Nonostante una buona stagione operistica, però, i problemi da affrontare per stabilizzare l’azione della fondazione che lo gestisce sono così tanti, e molti di carattere extra-artistico, che diventa difficile anche solo elencarli. C’è una situazione proprietaria nebulosa e conflittuale, la volontà del presidente della fondazione Emiliano, nonché sindaco di Bari, di rigettare un protocollo di intesa siglato a suo tempo con la famiglia dei proprietari dell’immobile sulla gestione della struttura, il problema di chi debba farsi carico delle spese di ricostruzione del teatro (distrutto in un incendio nel 1991), i rapporti gelidi fra il consiglio di amministrazione e il Ministero dei Beni e Attività Culturali, che pure è socio della fondazione e che aveva in un primo momento, col recente decreto Bondi, interrotto i finanziamenti, l’impossibilità di fatto di coprire la prevista pianta organica, visto l’emendamento che, in Parlamento, aveva autorizzato le assunzioni ma senza oneri per lo stato…nonostante i gravi problemi in cui versa non solo Bari ma la quasi totalità della lirica italiana, qui musica e opera non sono state trascurate, nonostante tutto.

 

Raro ed encomiabile, soprattutto per l’Italia meridionale, è il progetto di rappresentare Der Ring des Nibelungen, tetralogia la cui musica, libretti e progettazione degli ambienti destinati all’esecuzione costituiscono il monumento artistico di Richard Wagner. Dopo Das Rheingold nel 2008 - presentato purtroppo solo in forma di concerto – e Die Walküre l’anno scorso, dal 18 giugno 2010 è stato allestito il Siegfried, chiave di volta dell’intero ciclo. Una musica seminale, immensa nelle sue volute infinite, i cui leit motiv provenienti dalle due opere precedenti si intrecciano con i nuovi, richiamando sconvolgimenti primigeni del mondo ancestrale ma anche i profondi e nascosti moti dell’inconscio, ri-creandoli in un nuovo atto generativo che accade ad ogni rappresentazione, sul palco, davanti a noi (si deve ringraziare soprattutto Quirino Principe per averci recentemente consentito di comprendere a fondo questo furore sotterraneo che si rinnova ad ogni allestimento del Ring, integrando decisamente l’interessante ma riduttiva lettura junghiano-psicanalitica del ciclo effettuata, a suo tempo, da Robert Donington).


 


Scott MacAllister (Siegfried) e Matthias Wohlbrecht (Mime)

 

Inserita fra due opere tragiche, Siegfried presenta invece anche momenti più ilari, grazie soprattutto a Mime il nano (omen nomen!), un personaggio che passa da toni drammatici (il finale del 2° atto, con la sua uccisione da parte di Siegfried) a momenti divertenti, essendo un figura controversa, instabile, di cui è utile, per l’interprete, mostrare le paure e le contraddizioni. In questa prospettiva, che si allarga a una possibile interpretazione dell’intera “seconda giornata”, si rivela paradigmatica la scena preparatoria alla sua morte, in cui appare evidente la natura mimetica della stessa figura di Mime «Ma come tu mi intendi alla rovescia. Ma davvero balbetto oppur vaneggio? La più gran fatica io mi do pure, il mio pensiero segreto per nasconder simulando e tu, ragazzo stupido, interpreti pur tutto alla rovescia!» dice a Siegfried, il quale però, avendo bevuto il sangue magico del drago Fafner, comprende i veri intendimenti del nano e lo trafigge con la riforgiata  spada Notung.

 

La presenza del regista Walter Pagliaro, insieme con quella del  direttore Stefan Anton Reck, costituisce l’unico elemento di continuità con le due produzioni precedenti del Ring a Bari. Pagliaro, pugliese, già assistente di Strehler all’iniziò della sua attività, ha costruito una narrazione efficace, chiara anche per chi non conosca a fondo il Ring, realizzata per immagini utilizzando la forma del teatro nel teatro: per la prima scena del primo atto, ecco l’antro-fucina in cui convivono Mime e Siegfried, allestisce una sorta di sottopalco teatrale mentre, per la scena finale della liberazione di Brünhilde da parte di Siegfried, il regista ha considerato quanto questo luogo sia marcato dal proprio tragico passato, collocando la scena fra resti di palchi e poltroncine rosse del vecchio teatro distrutto dalle fiamme. Qui il protagonista ritrova la Valkiria così come l’aveva lasciata alla fine della rappresentazione dell’anno scorso: avvolta dal sipario del teatro barese. Palpabile emozione in sala. Nel mezzo, per il secondo atto, la scena di carattere naturalistico (nel bosco, ai margini della caverna di Fafner) è comunque ricreata a partire da pannelli semitrasparenti che, calati dall’alto, riproducono il folto degli alberi: ancora le quinte di un etereo teatro. Piccola digressione di carattere estetico: assistendo alla rappresentazione ho avuto l’impressione (sostenuta da molti miei vicini di poltrona) che illuminare a giorno la grande buca d’orchestra, come in questo Siegfried, provochi un fastidioso riverbero, che distrae gli spettatori da quanto accade in scena, soprattutto nei momenti più intensi di un’opera magmatica come questa, quando il palco è in ombra: meglio sarebbe utilizzare piccole luci dirette sui leggii, come si usa in tutti i teatri d’opera europei.


 


Atto primo: una scena

 

Pur con organico orchestrale adattato alle dimensioni del Petruzzelli – quindi ridotto rispetto alle ipertrofiche compagini previste dal compositore di Lipsia per Bayreuth – l’ottima direzione musicale di Stefan Anton Reck riesce a “wagnerizzare” la neonata Orchestra della Fondazione, grazie all’esperienza maturata concertando il Ring des Nibelungen a Bari e, prima ancora, al Verdi di Trieste. Il livello musicale e drammaturgico del cast vocale è altissimo. Notevole l’impegno sul palco, in particolare di Scott MacAllister/Siegfried, presente on stage quasi per tutta la durata dell’opera: elevate le sue possibilità canore, meno quelle interpretative, e non solo per carenza del phisique du rôle. Molto applauditi Matthias Wohlbrecht nel difficile ruolo di Mime, Thomas Gazheli, un viandante/Wotan particolarmente incisivo e carismatico (quello di Wotan è, come è noto, un ruolo dal punto di vista drammaturgico ambiguo ma centrale in tutta la tetralogia), Jaochim Seipp, adattissimo alla oscura, affascinante figura di Alberich, Ethan Hershenfeld nella pur breve interpretazione del drago Fafner. Brave le tre donne di Siegfried: Mette Ejsing (la intensa e dolente dea Erda), Jayne Casselman che occupa come Brünhilde tutta la scena finale, Valentina Farcas (sostituita da Anna Palamina nell’ultima recita), nella breve ma virtuosistica interpretazione dell’uccello della foresta che guida Siegfried verso il cerchio di fuoco entro cui dorme la valchiria.

 

Le scene, di cui si è adeguatamente già detto, sono di Luigi Perego, unitamente agli evocativi costumi, mentre gli essenziali movimenti coreografici (ad esempio, per le oscure ed elastiche figure che si muovono inquiete, tendendo le funi intorno al luogo ove Erda è risvegliata da Wotan) sono di Daniela Schiavone.Alla prossima primavera per l’annunciata, apocalittica conclusione del Ring con Götterdämmerung.

 



Siegfried



cast cast & credits




La locandina

 
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