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Gli arazzi dei Gonzaga nel Rinascimento

di Sara Mamone
  Manifattura di Cornelis Mattens, Storie di Alessandro Magno: Incontro di Alessandro con Talestri regina delle Amazzoni, Arazzo, 360 x 404 cm, Monselice (Padova), Castello Rocca di Monselice.
Data di pubblicazione su web 14/06/2010  

Con la mostra a Palazzo Tè e il complementare percorso nel Palazzo Ducale e nel museo diocesano, il nuovo comitato scientifico responsabile della valorizzazione del patrimonio artistico mantovano ha aperto il suo cammino in maniera originale ed autorevole. Perché molti sono i capolavori legati alla vicenda della famiglia gonzaghesca e molto è già stato valorizzato ma certo gli arazzi non avevano avuto fino ad ora degna esposizione; pur essendo, per i contemporanei e i signori circonvicini, una delle meraviglie sulle quali si era esercitato a lungo il gusto artistico e collezionistico dei signori. Omaggio alla dinastia regnante che ha fatto la gloria di Mantova e che per oltre due secoli l’ha posta al centro dell’Europa delle corti, l’esposizione, curata dal più autorevole esperto del settore, Guy Delmarcel, coadiuvato da Nello Forti Grazzini, Lucia Meoni e Stefano l’Occaso, rappresenta una splendida sanzione alla rinascita del gusto per l’arazzo nella più recente cultura espositiva. Perché se in antico regime l’arazzo era, per la sua confortevole mobilità, l’oggetto più amato dalle corti mobili, non c’è dubbio che il gusto dell’oggi ha un po’ allontanato da sé la passione per questo invece straordinario genere figurativo. Non c’era corte che non avesse i suoi arazzi, ora tessuti dai propri artigiani, ora importati dai sempre più rinomati telai delle Fiandre.
 


Artista Nord Italia, Annunciazione, Arazzo, 113,7 x 179,4 cm
Chicago, The Art Institute (particolare)

 

Fino alla metà del Seicento l’arazzo fu segno distintivo della nobiltà regnante (o di quella ad essa assai prossima) e non perse una briciola del suo fascino fino al momento in cui, con l’aprirsi di nuovi ateliers quale quello dei parigini Gobelin, voluti da Enrico IV per ragioni insieme economiche e di prestigio e potenziati dai suoi successori, una certa agevole serialità non gli levò quel fascino esclusivo che ne aveva accompagnato la fortuna.
 


Bottega di Nicolas Karcher, Puttini: La barca della Fortuna
Arazzo, 363 x 413 cm, Lisbona
Museu Calouste Gulbenkian (particolare)

 

Fortuna ininterrotta nel definirsi delle corti rinascimentali che ad essi destinarono somme ingentissime ed ingentissimi ideatori dell’iconografia (basti citare Raffaello e il suo atelier, nonché più tardi Rubens) perché l’arazzo rispondeva egregiamente (non meno della pittura) ai programmi iconologici autoelogiativi e a quelli più ameni del vivere cortese (e poi cortigiano) ma tra tutti i prodotti figurativi era quello più ricco di valenze pratiche: il facile trasporto lo rendeva agevole compagno in tutte le trasferte, capace di ricreare ovunque l’atmosfera familiare della dimora signorile e al tempo stesso di riparare dal freddo. Non meno dei grandi cicli pittorici, l’arazzo sottolineava la grandezza del suo possessore. Leggendaria l’affezione di Carlo V, modello di tutte le sovranità successive, per il ciclo detto de Los Honores ( arazzi fiamminghi con la rappresentazione allegorica delle virtù di cui il sovrano deve adornarsi e dei vizi da fuggire) che l’imperatore portò sempre con sé nei suoi innumeri spostamenti nello sterminato regno.  
 


Bottega di Jehan Baudouyn, Fructus Belli: La paga dei soldati
Arazzo, 365 x 800 cm, Écouen,
Musée national de la Renaissance (particolare)

Giusto dieci anni fa Guy Delmarcel apriva, con la spettacolare esposizione in Belgio seguita al restauro di questi arazzi, il ciclo fortunato della riscoperta. Da allora l’arazzeria è ridiventata un prezioso spunto per mostre anche di grande richiamo. Basti pensare (citiamo a memoria tra le più recenti in Italia, e alcune ancora in corso) a quella di Gand dello scorso anno sugli Arazzi fiamminghi per i duchi di Borgogna, l’imperatore Carlo V e re Filippo II, a quella dedicata a Firenze in palazzo Strozzi al ciclo di Artemisia per le due regine di Medici di Francia, a quella genovese di Palazzo Doria e a quella del Palazzo del Quirinale in Roma, ancora in corso.

La splendida mostra mantovana ha quindi non solo un valore estetico ma un preciso significato culturale, sottolineato tra l’altro dalla riedizione, consistentemente aggiornata, del volume che nel 1996 Clifford Brown e lo stesso curatore di oggi dedicarono al collezionismo Gonzaga e che costituisce la base scientifica dell’attuale impresa: Tapestries for the Courts of Federico II, Ercole, and Ferrante Gonzaga,1522-63 (Centro internazionale d’arte e cultura, Mantova, ed.Skira, Milano, 2010). Quindici anni fa, a dimostrare, se ancora ce ne fosse bisogno, quanto la cultura e la ricerca procedono per tempi lunghi e seri.

 


Manifattura di Bruxelles, Storia di Fetonte:
La Metamorfosi delle Eliadi
Arazzo, 412 x 600 cm, Écouen,
Musée national de la Renaissance (particolare)

Lo splendido catalogo, che costituisce dunque insieme lo stimolo per l’allestimento della mostra e la sua storicizzazione e si pone come indispensabile strumento di approfondimento, è affiancato da una più agile guida (stesse edizioni) che accompagna con cordialità lungo il percorso espositivo di cui segnaliamo in particolare: la straordinaria Annunciazione gonzaghesca (unico arazzo superstite di quattrocentesca produzione mantovana), i Giochi di putti commissionati da Federico ed Ercole Gonzaga al fiammingo Nicolas Karcher, arazziere gonzaghesco prima di recarsi a Firenze, al servizio di Cosimo I, la splendida serie parimenti intitolata Giochi di putti commissionata da Ferrante Gonzaga Guastalla alla metà del Cinquecento, la serie dei Fructus belli commissionata dallo stesso in occasione del suo soggiorno nelle Fiandre alla metà del secolo, Le storie di Mosé nel doppio trattamento per il Gonzaga Guastalla e per il cardinale Carlo Borromeo; i soggetti mitologici con le storie di Giasone e Medea, di Cefalo e Procri, di Fetonte, di Enea e Didone. Fino alla grandiosa Storia di Alessandro Magno, documentata a Palazzo ducale dal 1627 e quindi probabilmente l’ultima acquisizione prima che il Sacco della città nel 1630 mutasse per sempre la sua storia.

Gli arazzi dei Gonzaga nel Rinascimento

 


 Bottega di Nicolas Karcher,
Mosè riceve le tavole della legge
Arazzo, 373 x 265 cm
Milano, Museo del Duomo


 

 

 

 

 

 


 


Manifattura fiorentina, Giovanni Rost da cartone di Giovanni Stradano (attr.), Storie di Giasone: Giasone e Medea
Arazzo, 365 x 263 cm, Novellara (Reggio Emilia), Museo Gonzaga


 

 

 

 

 

 

 

 


 


Bottega di Giulio Romano,
Danza dei Puttini
Disegno a penna, inchiostro diluito e biacca su carta marroncina,
 38 x 29 cm, Firenze, Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi





 

 
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