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Commedia umana in un centro commerciale

di Paolo Patrizi
  Una scena
Data di pubblicazione su web 24/05/2010  

Il centro commerciale come bestiario, luogo simbolico del nostro disordine quotidiano ma anche illusorio paese dei balocchi, dove tutti – non solo Falstaff – possono credere alla leggenda del Cacciatore Nero e della quercia di Herne. Assistere a delle Allegre comari di Windsor ambientate tra una boutique e un happy hour, con l’immancabile mimo che allieta (o funesta) le compere dei dannati del consumismo che vi transitano, può sembrare una forzatura, ma la messinscena realizzata a Erfurt dal regista Waut Koeken dipana lo spunto con rigore e consequenzialità: le comari sono corteggiate dallo squattrinato protagonista non in virtù del portafoglio dei rispettivi mariti, ma in quanto proprietarie di due tra i più prestigiosi negozi dello shopping center; mentre la scenografia di Benoît Dugardin – nel mostrare, con un semplice cambio di prospettiva, sia lo spaccato dei grandi magazzini con i suoi mastodontici tre piani sia l’interno del negozio dove si consuma la burla della cesta – risolve senza cambi di scena il problema del continuo accavallarsi di quadri, cruciale nel Falstaff verdiano come nelle Lustigen Weiber von Windsor di Otto Nicolai.

 


Una scena


Felicemente impaginata anche grazie a un cast di autentici cantanti-attori e a un impatto visivo paracinematografico (il debito verso Scenes from a Mall di Paul Mazursky con Woody Allen, ambientato appunto in un centro commerciale, è palese allo spettatore cinefilo) l’attualizzazione operata da Koeken è d’altronde, a suo modo, quasi filologica: la descrizione del piccolo mondo borghese della Windsor elisabettiana, nocciolo della commedia di Shakespeare (sarà Verdi a dare priorità drammaturgica al tardivo canto della carne di Falstaff), fornì nel 1849 a Nicolai un ottimo spunto per ironizzare sulla borghesia tedesca contemporanea; e la corsa verso il denaro e la società dei consumi mostrata dal regista – da parte sia delle due comari bottegaie arricchite sia di chi, come Falstaff, non sa mettere insieme il pranzo con la cena – ne rappresenta l’ulteriore, inevitabile aggiornamento.

 

Altrettanto felice, in quest’ottica modernizzata, il viraggio in chiave di musical della componente fantastica: quella sarabanda di fate, elfi e folletti dell’ultimo quadro che Verdi gestì con maestria ma, forse, senza particolare empatia e assai congeniale invece a Nicolai, che definì le sue Allegre comari una «komisch-phantastiche Oper». Resta invece poco spazio, in una lettura così marcatamente contemporanea, per l’aspetto romantico-demoniaco, che nell’opera avrebbe un ruolo niente affatto marginale: non a caso il regista decide di far cantare fuori scena la truce ballata del Cacciatore Nero intonata da Frau Reich (la Meg verdiana), mentre il dionisiaco brindisi di Falstaff si riduce a momento macchiettistico.

 


Una scena


La compagnia di canto era di quelle che sanno far teatro divertendo e divertendosi: un’alchimia che in Italia si raggiunge di rado, anche quando si ha a che fare con voci migliori di quelle schierate a Erfurt, e induce a vedere il bicchiere sempre mezzo pieno. Dunque importa poco che il suono di Sebastian Pilgrim appaia un po’ secco nei numerosi affondi gravi che la scrittura di Nicolai attribuisce a Falstaff, parte di «basso buffo profondo» sulla scia dell’Osmin del Ratto dal serraglio e con una sessantina d’anni di anticipo sul barone Ochs del Cavaliere della rosa: ci si lascia catturare dalla verve del commediante più che sottolinearne gli eventuali limiti fonici. D’altronde in Nicolai vere protagoniste sono le lustigen Weiber eponime, con Frau Fluth e la sua difficilissima aria del primo atto in veste di mattatrice: nonostante una voce di magre attrattive timbriche Marisca Mulder domina con sicurezza i virtuosistici fuochi d’artificio della pagina e plasma, nel resto dell’opera, un icastico ritratto di comare allegra, sì, ma calcolatrice e tutt’altro che specchiata. Le fa efficacemente da spalla, con un colore accattivante di vero mezzosoprano, la Frau Reich di Stefanie Schaefer, a suo agio nello scintillio della commedia come negli affondi macabri della ballata dell’ultimo atto.

 

L’altro soprano, Susanne Langbein, è una Nannetta gradevolmente in bilico tra lilialità e malizia, purtroppo mal servita dal Fenton con cui deve fare coppia, Marwan Shamiyeh, tenore dalla vocalità oltremodo incerta quanto ad appoggio e intonazione. Qualche debolezza veniva anche dalla baritonalità un po’ pallida di Peter Schöne (Herr Fluth) e dalla voce di basso imponente per volume, ma ruvida per emissione, di Vazgen Ghazaryan (Herr Reich): tutti peraltro tasselli di un ingranaggio perfettamente oliato, dove a far chiudere il bilancio in attivo provvedono i due sapidi comprimariati di Jörg Rathmann e Ji-Su Park.

 


Una scena


Alla guida di un complesso eccellente sia per nitore sia per compattezza di suono come l’Orchestra Filarmonica di Erfurt, il direttore Samuel Bächli valorizza tanto le incantate trasparenze della partitura quanto la sua gioiosità ritmica, mostrandosi anche sensibile accompagnatore delle voci: ne scaturisce quella giusta dialettica tra sinfonismo tedesco e vocalismo italiano che Nicolai si prefiggeva come obiettivo ineludibile; e, al contempo, quella sintesi tra “alto” e “basso”, quotidiano e sublime che fu un ingrediente del teatro musicale in Germania sin dalle sue origini. E, oltre tutto, è quanto di più shakespeariano si possa dare.

 

 

Die lustigen Weiber von Windsor
Le allegre comari di Windsor


cast cast & credits



 
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