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Buona la prima

di Roberto Fedi
  Pino Strabioli
Data di pubblicazione su web 17/05/2010  

Tutti i giorni fino a venerdì, Rai Tre in mattinata, vanno in onda due programmi che chissà perché hanno lo stesso nome: mistero di quello che gli ignoranti della Rai chiamano “palinsesto”, che in realtà significa un’altra cosa che non ha niente a che vedere con la Tv e il suo gergo del cavolo. Si tratta di Cominciamo bene: parte prima e parte seconda. Lasciate stare la seconda, con Fabrizio Frizzi che è meglio perderlo che trovarlo. Fermatevi alla prima, che va in onda, appunto, un po’ prima, verso le 9 e un quarto.

 

È diretta in studio da Pino Strabioli, che a nostro immodesto avviso è il più bravo dei conduttori Rai, in senso assoluto. Siccome è bravo, arguto senza strafare, intelligente e non invadente – tanto che l’avevamo già segnalato in un’altra occasione: Cominciamo bene (una volta tanto) – l’hanno relegato sempre alla mattina. Che comunque è una sistemazione diversa, proprio concettualmente, dal mefitico pomeriggio Rai: può anche darsi che qualcuno la veda, senza essere necessariamente uno che è stramazzato sul divano nel delirio postprandiale. Per esempio, stamani c’è capitato di vederla a noi.

 

Strabioli ha uno studio minimalista: un pianoforte con un maestro che suona con discrezione e canta cosette ironiche (si chiama Leo Sanfelice), e quando l’abbiamo visto noi due attori che leggevano brani di un libro, l’ultimo (bruttissimo) di Paolo Villaggio. Stop.

 

C’era in studio, appunto, il sosia mostruoso di Paolo Villaggio. O almeno così ci è sembrato: un omaccione avvolto in una specie di sari orrendo, con sopra una tunica altrettanto, seduto con una panza abnorme e tonda come un pallone aerostatico. Una barbaccia incolta o che sembra tale. Insomma, sgradevole.

 

Che diceva sgradevolezze, una dietro l’altra. Era lì naturalmente per vendere il suo libro, ripetiamo orrendo e di cui non diciamo il titolo né l’editore perché la pubblicità gratis si fa solo alla Rai, e anche questa è una cosetta che non si capisce. Lo diceva, che voleva vendere il suo libro, secondo una vecchia, ma proprio vecchia come il cucco, risorsa retorica, quella di dire ostentatamente la verità fingendo di recitare. Interrompeva continuamente sia lo Strabioli, sia gli altri. Cercava, come gli riusciva una volta e ora non più, di fare il mattatore, prendendosi tutta la scena. Risorsa, anche questa, mediocre e proprio da ex bravi ormai alla frutta: che è quella di prendersela con l’interlocutore, per apparire più in alto di lui strizzando metaforicamente l’occhio allo spettatore. Insomma, di farsi bravo alle spese di qualcuno. In teatro di chiama “rubare la scena”, ma càpita solo ai bravi attori un po’ sbruffoni. Qui era solo sgradevole, ripetiamo.

 

Il maestro al pianoforte, continuamente e sgarbatamente interrotto, era visibilmente seccato. I due attori, anche loro oggetto delle attenzioni brutali del sosia di Villaggio, erano interdetti, al punto che hanno recitato malissimo, con faccia tirata. Insomma, un momento a dir poco imbarazzante anche per chi stava guardando quel programma, di solito eccellente e che ha il merito, enorme, di parlare di una cosa di cui non si parla mai, il teatro. E che consigliamo: il programma, non quel Villaggione imbolsito.

 

Strabioli è stato non bravo, bravissimo (si era in diretta). Invece di alzarsi e dare a quel panzone un calcio nel sedere, è stato al gioco senza esserne soverchiato. Non ha accettato di passare per scemo a spese di quel pallone, non lo ha assecondato come fanno le “spalle”. È stato un interlocutore, sorridente e non sottomesso. E sottilmente perfido, il che è una gran bravura e dimostra intelligenza rara, in Tv: alla fine lo ha fatto apparire per quel che era, un ciccione senza garbo e senza genio. Un applauso a scena aperta se lo sarebbe meritato. Glielo facciamo noi.

 

PS. Abbiamo controllato. Era proprio Paolo Villaggio, che una volta era un autore e un attore intelligente, e adesso non è niente di tutto questo, e in più – non si sa perché – si crede un fenomeno. Come diceva un grande, senectus ipsa est morbus. La vecchiaia è di per sé una malattia.

 

Villaggio ha, portati male, 78 anni.




 
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