Si chiude con la Manon Lescaut di Puccini la stagione lirica del Teatro Pavarotti di Modena, che questanno ha offerto al suo pubblico davvero belle produzioni (Elektra di Strauss in primis) e varietà di titoli (oltre a Manon ed Elektra, I due Foscari, Il sequestro, Nabucco e Idomeneo). Peccato che questa Manon, coprodotta con Ferrara e Piacenza, forse eccessivamente carica di aspettative, abbia un po deluso soprattutto dal punto di vista orchestrale e registico. E viene da dire che lo spettacolo non avrebbe raggiunto la sufficienza, se non fosse stato per la superba interpretazione del soprano Amarilli Nizza, abilissima, dai molteplici, cangianti colori vocali e attrice consumata sulla scena, sostenuta da un perfetto physique du rôle. Che di Manon ha fatto – secondo le sue stesse parole – “uneroina affatto negativa, ma vittima delle costruzioni sociali e familiari, appassionata e innamorata”, in linea con le ultime parole che la protagonista pronuncia prima di spirare (“le mie colpe… travolgerà loblio, ma lamor mio…non muore…”), mentre in orchestra risuona la citazione del minuetto del secondo atto, eco delle danze nel salotto di Geronte.
Josè Fardilha e Alessandro Spina
Il resto del cast vocale, decisamente offuscato dalla Nizza, non ha regalato emozioni forti. A cominciare dal tenore Walter Fraccaro che, sebbene le note ci fossero tutte, è apparso poco incisivo e a tratti affaticato, soprattutto nella gestione della melodia che per gran parte dellopera richiede a Des Grieux uno slancio e un sostegno tecnico non indifferenti. Naso arricciato anche per la performance di Josè Fardilha (Lescaut): voce ricca di armonici, non male scenicamente, ma qua e là impreciso nellintonazione. Poverino invece Alessandro Spina, Geronte, costretto a cantare su una sedie a rotelle, secondo lassurda quanto scorretta enfatizzazione della senilità, “ironica” secondo il regista Pier Francesco Maestrini. Che abbia letto il romanzo di Prévost si capisce, quello che ci si chiede è se abbia letto il libretto, nel quale si dice espressamente che Geronte è un vecchio libertino, amante del lusso, che vuol “sedur la sorellina”, non – con il dovuto rispetto – un paralitico ottantenne con lalzheimer! Mi si concederà di dare per scontato che lappetito sessuale a 80 anni suonati sia bello che spento. Per non parlare del fatto che alla scoperta del rapimento, Geronte “guarda sorpreso, poi nella massima confusione corre da Lescaut scuotendolo”, azione che la carrozzella di certo non facilita. Il fatto che Manon Lescaut sia stata unopera travagliata dal punto di vista librettistico, che secondo le note di regia giustificherebbe tutto, a mio parere non giustifica proprio un bel niente, tanto meno lincoerenza di un piano registico.
Una scena dello spettacolo
Insieme alla regia, altra nota dolente è stata la direzione dorchestra di Gianluca Martinenghi. Al di là dello stacco discutibile di certi tempi, il direttore ha dato per tutta la durata dellopera la sensazione che lorchestra (Regionale dellEmilia Romagna) gli stesse sfuggendo di mano, privando lesecuzione degli affascinanti contrasti e delle potenzialità espressive della – siamo daccordo, difficile – partitura pucciniana. Unica timida eccezione lIntermezzo, nel quale si sono intravisti barlumi di idee. Difficoltà evidenti ci sono state anche nella gestione dei cantanti, qua e là fuori tempo rispetto allorchestra e costretti a inseguirsi a vicenda con i maestri in buca. Riguardo allallestimento (Palermo, Teatro Massimo, 2008): tradizionale, niente da dichiarare, niente che non fosse già visto e rivisto. E meno male, aggiungerei, perché dalla piccionaia in cui ero avrei visto poco. Per fortuna, dopo uninsolita uscita di tutti i personaggi (eccetto i protagonisti) che ha bruscamente interrotto la tensione emotiva del terzo atto e ha ritardato di dieci minuti buoni linizio del quarto, siamo stati tutti ricompensati del “dolcissimo soffrir”. Nellultimo atto la Nizza ha davvero superato se stessa per lintensità dellinterpretazione, che ha portato più di qualcuno in sala alle lacrime. Sarà che il giorno prima Martinenghi durante la presentazione dellopera aveva lusingato i presenti, definendoli “preparato pubblico modenese”, ma per quanto mi riguarda i “bravo” che gli sono stati tributati, così come al regista, restano davvero un mistero.
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