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Viaggio all'interno del corpo

di Vittorio Franceschi
  Una scena dello spettacolo
Data di pubblicazione su web 29/01/2010  

Pubblichiamo il monologo Viaggio all'interno del corpo tratto da L'esecuzione di Vittorio Franceschi (Bologna, Laboratori DMS, 3.11.08, presentazione in forma di lettura con Vittorio Franceschi e Maria Paiato, drammaturgia di Paolo Aralla, coordinamento di Maria Moffa) Pubblicato su Prove di drammaturgia, a. XXV, n. 2, dicembre 2009, p. 10.

 

L'UOMO – Quand’ero giovane, mi ricordo, c’era un tizio sui quaranta che frequentava il mio stesso bar. Veniva ogni sera verso le sei e in silenzio mangiava due uova sode e beveva birra da un bicchiere enorme. Una volta, chissà perché, mentre lo guardavo pensai al suo esofago. Avrò avuto diciott’anni. A parte le uova e la birra chissà cosa ci rovescia dentro mi dissi, chissà cosa deve sopportare quel tubo da più di quarant’anni. Ieri quel pensiero mi è tornato in mente e mi son detto che forse è proprio nel nostro di dentro che si nasconde l’anima.

E per conoscerla dobbiamo solo percorrerci all’ingiù, proprio come le uova sode di quel tizio. Allora ho provato a ingoiarmi per capire meglio.

Non è difficile, sa? Mi sono introdotto in me stesso ed è stata la cosa più naturale del mondo. Prima mi sono masticato poi mi sono deglutito e subito mi sono sentito a casa mia, anche se non ci vedevo bene perché nel nostro di dentro c’è un grande buio.

Poi un po’ alla volta ho cominciato a distinguermi e mi sono reso conto che se il nostro interno fosse all’esterno la razza umana apparirebbe mostruosa ma per fortuna siamo ricoperti di pelle vellutata e abbiamo labbra che viste da fuori sono morbide e invitanti mentre viste da dentro sono viscide e repellenti, con tutta quella saliva che passa con un risucchio tra le fessure dei denti che il più delle volte sono otturati, pieni di tartaro e di residui di cibo, un vero rottamaio, strappati i denti, uomo!

Quando poi ho visto che dal naso scendeva un muco che finiva in gola mi è venuta la nausea ma non potevo vomitarmi dentro, e così mi son detto il muco nasale è solo un indizio, non puoi giudicare ancora, esci da questo palato, vai più giù, avevo un groppo, mi vergognavo, cercare l’anima alla mia età! Io ho sempre pensato alla guerra e alle donne, ieri invece avevo questo tarlo dell’anima, comunque scivolando mi sono calato fino allo stomaco, e vedevo da dentro tutto l’ambaradan che si chiama corpo con le sue circolazioni e terminazioni e nodi e condotti che pulsano d’un sangue meticcio che sbocca nei crocevia rimbombando, poi si rovescia negli anfratti e in un flutto sordo si porta via travi e masserizie di crolli antichi, ho visto passare il mio tamburello di latta e la foto di mia madre, e gli occhi di due ragazze che feci abortire a quindici anni e c’era nell’oscuro un traghetto rovesciato che sbatteva di qua e di là, sentivo grida orrende e bestemmie venir da sotto, insieme a un ballabile, pensi un po’, da qualche parte suonava un’orchestrina, c’era una festa e poi con uno schiocco improvviso il mio corpo è stato invaso da altri miei corpi, con altri me stessi che si masticavano e s’ingoiavano e si torcevano e cadevano e si rialzavano ridendo come ebbri, fra strida e barriti primordiali in un cozzare cupo e non sapevo più io quale ero. Vede com’è l’interno? Il di dentro, la parte che diciamo spirituale e che ci fa piangere quando c’è il clarinetto dell’enfant prodige? In quella pista vuota si accoppiavano le colpe ma io cercavo il bene, cercavo uno scopo dopo tanta gozzoviglia.

Che stranezza, eh? Volevo finalmente capire se mi restava un tempo per i pensieri una volta tornato a casa, per i paesaggi, per il profumo di un gelsomino selvatico. Lei dove scava? Nell'aria? Guarda il cielo? Io cercavo nella mia concreta esistenza corporale fatta di acqua al 70%, che cammina a tentoni sulla crosta di questa terra dove beffardamente l’acqua scarseggia, abbiamo lavato troppe macchie!

Deve sapere quel che ho visto laggiù: ulcere in agguato e catarri già in viaggio, arterie grumose destinate a esplodere in infarti spettacolari e batterie di cancri e pustole e piaghe e tutti i feroci mali del mondo schierati come un esercito nano, ma del mio io sublime non c’era traccia e allora sono disceso ancora, mi son calato a testa ingiù verso i miei bassifondi come la sonda speleologa che indaga, e di lì a poco galleggiavo nel mar morto delle mie viscere, andavo in apnea più a fondo che potevo, fin dentro le trippe cavernose che abbiamo, piene di un silenzio inesplorato che rimbalza in altri silenzi che lo rimandano, e ho nuotato a gran bracciate fino alle mie Colonne d'Ercole urlando: dov’è l'anima?

E rimestavo con le mani, cercavo quel guizzo misterioso che avvicina a Dio e dopo puoi essere perdonato, dov’è il dentro che mi salva, gridavo, dov’è il bene che riscatta tutto il male che ho fatto? Sono in tempo? Ci sono orme, indizi? C’è nessunooooo??... Ma in quella poltiglia finale ho trovato solo noccioli di ciliegia, qualche maccherone mandato giù intero, un pezzetto di carta stagnola che era nel gorgonzola, mi ricordo ancora quando l’ho inghiottita, con quel sapore sgradevole di ferraglia, e pensai: ecco cosa provano i mangiatori di spade, non farò mai il mangiatore di spade. Questo ha trovato il disertore nel suo viaggio a discendere cercando il suo io migliore. Oh, sapesse quali echi dalle parti del cuore, così strazianti eppure velati, sapesse cosa resta di quei tremiti che ci fan gentili col mondo nell’età del fieno!

La parte più nobile dell'uomo è l’intestino, mia cara. Lui fa in silenzio il suo lavoro senza presumere troppo di se stesso e non si chiede in cosa consista il bene. Poi l’istinto di conservazione mi ha suggerito di aggrapparmi all’ugola e con un colpo di tosse sono uscito all’aperto. Ma non ho rivisto le stelle, c’era una nuvolaglia bassa e scura e infatti poco dopo è venuto a piovere. Pioveva forte e di traverso, tirava un vento maligno e ho pensato che forse tutta quell’acqua che veniva giù non era altro che il 70% dell'intera umanità che di colpo per lavarsi pioveva su se stessa.



 

 
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