Se è vero – come talvolta si dice – che il tempo non esiste, allora Hin und Zurück, con la sua drammaturgia che stravolge il concetto di unità temporale, è uno dei migliori avvocati di tale assunto, laddove Lheure espagnole, dove sono gli orologi a scandire le peripezie del vaudeville, parrebbe contraddirlo. Ed è una morale che, in qualche modo, esalta ancora di più le qualità di Paul Hindemith, mentre rischia di ritorcersi contro Maurice Ravel: il fulmineo (sì e no un quarto dora) “sketch con musica” del primo mantiene intatto il fascino dellevergreen, laddove il breve ma non sintetico ingranaggio comico messo in moto dal secondo oggi appare forse, fermo restando lo strepitoso talento coloristico di Ravel, meno divertente e più datato.
Una scena dell'allestimento
La modernità che promana Hin und Zurück (“Andata e ritorno” o, meglio ancora, “Avanti e indietro”) è tanto più eclatante quanto più sincanala in una temperie – quella di certo teatro musicale tedesco a cavallo tra gli anni Venti e gli anni Trenta, ivi compresi taluni lavori hindemithiani – cui oggi sarebbe difficile attribuire attualità estetica e drammaturgica: quando un paio di stagioni or sono il Teatro delle Muse di Ancona, nel lavoro di ricognizione del Novecento storico che da anni caratterizza le sue programmazioni, propose Neues vom Tage, che nel catalogo di Hindemith segue Hin und Zurück di soli due anni, linteresse fu quello che può sollecitare un generico modernariato. Qui invece la palindromicità delloperina (arrivata in pochi minuti allacme, ovvero luccisione della moglie fedifraga da parte del marito geloso, la narrazione si riavvolge su se stessa a mo di pellicola, mostrandoci la storia a ritroso fino a tornare al punto di partenza) suggerisce allautore un dissimulato virtuosismo compositivo dovè la stessa partitura, disponendo per ordine inverso frasi musicali compiute, a sottolineare lassurdo dellazione. Ne sortisce un lavoro sperimentale, ma non meccanico; e quando poi Hindemith decide, almeno per un momento, di fare loperista sul serio (il contrappuntistico terzetto per tenore, baritono e basso) i risultati sono di prima grandezza.
Nicolas Rivenq, Vicenç Esteve, Giovanni Battista Parodi
Bruno Bartoletti, nonostante letà venerabile (classe 1926) e un cattivo stato di salute (reso noto al pubblico prima dellinizio dello spettacolo), ha tenuto in mano le redini dellesecuzione senza apparente stanchezza: lorchestrazione trasparente di Hindemith (uno snello organico di pochi fiati e due pianoforti) viene resa con la stessa felicità di quella, ben più rutilante, di Ravel; i continui cambiamenti di tempo che costellano Hin und Zurück – logica conseguenza compositiva del montaggio paracinematografico duna simile vicenda – sono sempre ben percepibili, ma senza calligrafismi. LOrchestra Filarmonica Marchigiana risponde benissimo, confermandosi, almeno quando cè Bartoletti sul podio, una delle poche nostre compagini in grado di affrontare con sicurezza il repertorio novecentesco. Anche i cinque interpreti, impegnati in entrambi i titoli, si fanno onore, sebbene il loro livello sia eterogeneo.
Nicolas Rivenq, Sonia Ganassi, Vicenç Esteve
Spicca la vocalità di Sonia Ganassi, oggi sempre meno mezzosopranile e sempre più anfibia (tanto la Helene hindemithiana quanto la Conception raveliana sono ruoli da soprano), ma con una proiezione di suono capace di riempire senza problemi una sala acusticamente non ideale come quella anconetana. Linterprete, poi, è sempre molto spigliata: e se in Hin und Zurück, dove i personaggi sono tetragoni e meccanizzati, non può farsi valere più di tanto, la sua moglie focosa e insoddisfatta nellHeure espagnole è un ritratto molto divertente. Sul fronte maschile lunico alla sua altezza era Giovanni Battista Parodi, voce di basso corposa e risonante, credibile in scena nonostante la prestanza fisica non lo renda ideale, in Ravel, per il maturo e vanesio Don Inigo Gomez, nascosto e incastrato nella cassa dellorologio a pendolo come Falstaff nella cesta. Gli altri sono funzionali, anche se vocalmente più deboli: Nicolas Rivenq è un baritono assai leggero per peso e timbratura, e nel terzetto hindemithiano quasi scompare; mentre per quanto riguarda i due tenori i mezzi gradevoli di Vicenç Esteve non riescono a nascondere talune incertezze dintonazione, laddove la voce più modesta di Thomas Morris viene piegata con abilità a fini espressivi.
Una scena dello spettacolo
Chi invece non rende giustizia ai due testi – sia presi separatamente sia considerati, comera nelle intenzioni dello spettacolo, inscindibili pannelli dun dittico costruito a posteriori – è Stefano Poda, che firma regia, scene, costumi, coreografia e luci con talento più da artista installatore che da uomo di teatro. Forse preoccupato di riempire un palcoscenico vasto come quello delle Muse moltiplica ambienti e prospettive, in Hin und Zurück sgretolando non solo la barriera temporale ma anche quella dello spazio, attraverso la duplicazione dei personaggi. Il risultato è infelice perché imprime unipertrofia visiva a un lavoro che dovrebbe essere basato, proprio per la sua struttura circolare, sullestrema chiarezza di ogni azione; mentre lo stravolgimento del personaggio muto della vecchia zia (cui Hindemith affida linizio e la fine delloperina con uno starnuto che qui non ci è dato ascoltare, e che Poda trasforma in una figura da esistenzialismo francese anni Cinquanta con la sindrome psicanalitica del collezionismo di scarpe) confonde ulteriormente le idee. NellHeure espagnole un simile impianto funziona meglio, o disturba meno. La dimensione comico-farsesca, però, ne esce molto impoverita.
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