Tempo di anniversari questo 2009, musicalmente parlando. Tempo di Haydn e di Haendel. Nel marasma delle celebrazioni – a rischio di overdose – dedicate ai due compositori, anche Modena ha fatto la sua parte ospitando, il 3 novembre scorso al Teatro Pavarotti per il XII Festival Musicale Estense, unAgrippina davvero gradevole, ben oltre le aspettative del pubblico che riempiva la platea, a chiazze, e i primi due ordini di palchi, non per intero. Se chi non è venuto pensava si trattasse di una recita di fine anno, invece che di una produzione operistica con tutti i crismi, si sbagliava.
il cast in una scena
Dal progetto del controtenore inglese Michael Chance, con la regia di Floris Visser e la direzione di Hernan Schvartzman, un cast di giovani talenti specializzati al Conservatorio Reale dellAja ha davvero reso omaggio al “caro Sassone”, che allepoca della scrittura dellopera (1709) era quasi coetaneo degli artisti in buca e sul palco. Giovani sì, ma tuttaltro che esordienti, già professionisti nei maggiori teatri del mondo. A cominciare dal basso tedesco Achim Hoffmann (un Claudio bravo ma senza pretese), dal controtenore Jan Kullman (un Ottone appassionato), ma soprattutto dal soprano Stephanie True, che ci ha regalato una deliziosa Poppea, dotatissima vocalmente e perfettamente a suo agio sul palco. Buona prova dattrice anche per la turca Aylin Sezer (Agrippina) che, sebbene meno pulita e precisa della collega/rivale, ha prestato la sua indubbia presenza scenica – dalle movenze “antonacciane” – alla regina falsa e manipolatrice, disposta a tutto, che nellinganno trova diletto, disegnata dal librettista Vincenzo Grimani. Non male lunico italiano sul palco, il sopranista Riccardo Angelo Strano, talentuoso davvero nellimpersonare un Nerone effeminato quanto frivolo, capace di strappare più di una volta un sorriso al pubblico, coraggioso negli acuti ma non particolarmente in serata. Un po troppo sbilanciato il duo Pallante-Narciso: molto bravo il primo, David Greco, dalla vocalità quasi più adatta allopera ottocentesca che a quella haendeliana, parecchio più debole il secondo, Santiago Cumplido.
una scena dello spettacolo
Un plauso sincero va a Hernan Schvartzman, che ha diretto con una costante attenzione ai cantanti (cosa non sempre frequente tra i direttori dopera), e alla sua orchestra che, partita timorosa nel primo atto (la Sinfonia ha decisamente traballato in intonazione), si è poi sciolta nel secondo e nel terzo in un susseguirsi di bei contrasti. Peccato per i tagli un po indiscriminati, che hanno risparmiato lunghissimi recitativi a discapito di bellissime arie, come “Ho un non so che nel cor” di Agrippina, amata e mutuata dallo stesso Haendel – come “Cade il mondo soggiogato” – dalla precedente Resurrezione. Rispettose, a compenso, regia scene e costumi, misurati ed efficaci, dalle “proporzioni umane” (Visser), in un riuscito mix di tradizione (gestuale) e modernità (scenica). Unica data italiana e unoccasione persa per tutte quelle poltrone vuote.
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