Eduard Hanslick, nel volume Il bello musicale, negò che la musica potesse esprimere un sentimento in modo inequivocabile: ed è celebre la sua affermazione che se Gluck, nellOrfeo, avesse composto il motivo di «Jai perdu mon Eurydice» sulle parole «Jai trouvé mon Eurydice» il risultato sarebbe stato parimenti efficace. Forse, però, Hanslick avrebbe ammorbidito il suo punto di vista se avesse preso in considerazione la musica composta da Venanzio Rauzzini per Piramo e Tisbe (1769), che segue lopera di Gluck di soli quattro anni. In quella sorta di esplicito omaggio al Che farò senza Euridice gluckiano che è laria di Tisbe Perderò lamato bene, assai difficilmente lesito sarebbe stato lo stesso se Rauzzini avesse lavorato sulle parole Troverò lamato bene: lintenso lirismo della pagina – innervato da unornamentazione melodica tuttaltro che esornativa, ma tale anzi da potenziarne i palpiti – appare inequivocabilmente legato allidea della perdita. Laurea olimpicità di Gluck, dove perdu e trouvé possono coabitare, cedono dunque il passo a una più spiccata drammaturgia vocale; e non a caso, per questa sua “azione tragica in due atti”, Rauzzini parlò di «musica composta nel genere despressione».
Camerino - Teatro Filippo Marchetti
Che Rauzzini fosse un buon drammaturgo vocale, daltronde, è nellordine naturale delle cose, trattandosi di un cantante-compositore più che di un compositore-cantante. Passato alle cronache come il castrato per il quale Mozart scrisse il mottetto Exultate, jubilate (ma a quellepoca Piramo e Tisbe aveva già visto la luce), poi prestigioso didatta, come autore di opere teatrali e musica strumentale il suo catalogo è però tuttaltro che sguarnito e bene ha fatto la natia Camerino, grazie alliniziativa dellAssociazione Corale Culturale Filippo Marchetti, a ripescare questo frutto di uno dei suoi due illustri figli musicali (laltro è appunto Marchetti), che rappresentò tra laltro lesordio di Rauzzini come autore operistico.
Come si conviene a un debuttante, il titolo sincanala su una direttrice collaudata (la storia dei due infelici amanti narrata nelle Metamorfosi di Ovidio era entrata nel lessico familiare del melodramma) e, anzi, Rauzzini giocò la carta del remake, utilizzando un libretto di Marco Coltellini già messo in musica, lanno prima, da Hasse. Ma se il vecchio Hasse giocò la carta dellopera da camera (il suo Piramo e Tisbe fu destinato a un teatrino privato di Vienna, con cantanti non professionisti e tre soli personaggi in scena), il giovane Rauzzini, scrivendo il proprio lavoro per Monaco, allargò gli orizzonti: dramatis personae estesa a quattro ruoli, aumento dei numeri musicali, organico orchestrale dilatato (agli archi al completo si affianca una densa presenza di fiati). Se poi la versione di Monaco restò definitiva, se – al contrario – ci furono mutamenti in occasione delle riprese londinesi, e se gli accomodamenti al libretto scritto da Coltellini per Hasse furono dovuti (come qualcuno sospetta) alla penna di Ranieri de Calzabigi, ciò rientra nei tasselli di un puzzle musicologico tuttora da chiarire, ma che nulla aggiunge o sottrae al valore dellopera.
Camerino - Teatro Filippo Marchetti (particolare)
Precedendo di pochi mesi il bicentenario dalla morte di Rauzzini, lopera è stata proposta in forma di concerto (un accorto uso delle luci e la proiezione dimmagini, talvolta didascaliche ma più spesso evocative, hanno tuttavia conferito una parvenza di teatralità allesecuzione) nel bellissimo Teatro Marchetti di Camerino, uno dei tanti gioielli nascosti del nostro paese. Peccato che tutto si svolgesse davanti a un pubblico motivato, ma non certo numeroso: quasi una soirée musicale tra amici, che sembra rimandare allatmosfera “privata” e “cameristica” del Piramo e Tisbe di Hasse piuttosto che di quello rauzziniano. In ogni caso questa prima riproposta in epoca moderna qualche segno lha lasciato, e sarebbe provvidenziale se la registrazione della serata si traducesse in un cd. Merito soprattutto di Lamberto Lugli, che, dopo aver revisionato la partitura, lha diretta ottenendo dalla Nuova Orchestra Regionale Domenico Alaleona sonorità limpide e corrusche. La ricchezza timbrica di Rauzzini (il fagotto gioca un ruolo episodico ma rilevante) ne esce debitamente valorizzata; mentre la vibrante drammaticità impressa dal direttore a certi recitativi accompagnati e, soprattutto, al violento e dissonante “a solo” strumentale chiamato a descrivere larrivo del leone – che, pur senza sbranare nessuno, sarà il motore della tragedia – rende perfettamente giustizia a quellidea di “azione tragica” che qualifica il lavoro.
Meno probante lesecuzione vocale, e questo – data la concezione “canorocentrica” dellopera e del suo autore – può essere un limite. Tuttavia la coppia protagonista, scritta per due soprani (Piramo fu incarnato dallo stesso Rauzzini), è apparsa ben differenziata timbricamente, grazie alla voce più ricca e ombreggiata di Natalizia Carone, che risolve con qualche disomogeneità demissione gli occasionali affondi gravi del suo personaggio en travesti, ma sa imporsi per intensità espressiva nella magnifica aria Fuggiam dove sicura, vero corpo a corpo, ricchissimo di colori, tra la voce e il pieno organico orchestrale. Tiziana Guaglianone è una Tisbe di più modeste attrattive timbriche, ma corretta e musicale. Poco convincente – forse in cattiva forma – il tenore David Sotgiu, che alterna momenti piuttosto bradi (i recitativi un po scompaginati, laria di furore del primo atto più aggredita che risolta) ad altri che vorrebbero essere patetici (lAdagio conclusivo Cari figli, in questo seno), ma appaiono quasi canzonettistici. Nella parte posticcia di Corebo – lamico che assiste impotente al precipitare della tragedia – si è imposta invece la voce agile, balenante e ricca di armonici del giovane sopranista Angelo Bonazzoli. Freschissimo ma tuttaltro che acerbo, ha anche il merito di rispecchiare alla perfezione quelli che, per il Rauzzini didatta, erano i requisiti di un bravo cantante: «pronunciare con chiarezza le vocali; cantare con lo scopo di procurare piacere; spalancare la bocca tanto da produrre suoni, senza però che risulti ridicola, ma in forma di sorriso».
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