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Le tre giornate del ragù napoletano

di Luciana Libero
  Sabato, domenica e lunedì
Data di pubblicazione su web 19/01/2003  
Le tre giornate del ragù napoletano. Sabato, per sfumare la cipolla a fuoco lento e formare una crosta dura intorno al cuore; domenica per assaporare il veleno preparato con tanta cura; lunedì, dove la carne è un piatto freddo e si leccano le ferite postume alla sacra festività. Bisognerà prima o poi soffermarsi ad approfondire alcuni dettagli dell'opera di Eduardo: il cibo come terminale del conflitto, e le serve che assistono come apprendiste le loro padrone nella preparazione di intrugli diabolici, calderoni che sobbollono di fatture e trabocchetti; serve che hanno sempre qualche disturbo in famiglia, come un fratello malato che ha solo voglia di menar le mani, e che anticipano "in scala" il disturbo e la malattia dei protagonisti.

E' il caso di questa Virginia, "assistente" di Rosa Priore, che in Sabato domenica e lunedì traffica accanto alla padrona ad apertura di sipario. Una scena, in questa bella versione fatta da Toni Servillo per i Teatri Uniti, che conserva integra la memoria di Eduardo, a cominciare dalla cucina in primo piano, il tavolo da pranzo e una finestra che si apre sullo sfondo. Ma il sole è una traccia diafana che si affaccia a stento e sostituisce gli illuminati fondali di marine e vesuvi. Più che sul golfo il testo si affaccia su steppe cechoviane dove il sentimento della rinuncia, del ripiego e dell'amarezza attanagliano questa piccola borghesia che si avanza non proprio entusiasta sulla soglia degli anni Sessanta.

Scritta nel 1959, la commedia presenta un ceto arricchito da negozi a quattro vetrine al Rettifilo, senza più alcun ricordo dei lutti non molto lontani della guerra, visto che basta un nonnulla, una gelosia da condominio, un golfino color del mare regalato da un vicino zelante, a suscitare una catastrofe domenicale sull'orlo del ragù. Eppure su questo nulla Eduardo costruì un dramma ricco dei messaggi sociali che tanto amava: l'incomprensione, l'incomunicabilità, la diversa sensibilità di più generazioni; in definitiva la necessità dell'amore per tenere insieme la famiglia.

A distanza di mezzo secolo Servillo sembra privilegiare piuttosto l'odio e il rancore, la meschinità e la diffidenza, per costruire un'opera corale del malessere che scoppia ineluttabile tra le mura di casa, senza ragioni autentiche. Moglie e marito litigano, urlano, si beccano e fronteggiano, in definitiva non si parlano. Analogamente la giovane figlia e il fidanzato. E il vecchio suocero che impreca sui maccheroni fumanti. E il vicino zelante che porta doni con il sorriso sulle labbra e getta il seme della discordia come un messaggero di sciagura. Non c'è pace nella famiglia Priore. Il loro è il dramma del non detto, del malanimo, della rabbia e dell'umore nero; dei silenzi parlanti, delle occhiate in tralice, della sfiducia e del sospetto. Questo il tempo intossicato del ragù, dove gli affetti sembrano trovare la loro unica ragione nella malattia che li tiene insieme.

Alla bella regia Servillo aggiunge un'ottima prova come attore: cita le tonalità e le movenze e quasi ripropone l'autorità e il carisma del maestro; e tuttavia ne elimina le ben note pause, sincopando il recitativo che diventa così come un'eco di Eduardo; medesima impostazione la dà Anna Bonaiuto, la cui Rosa Priore ora mite e sottomessa, ora taciturna, scoppia all'improvviso in toni da brivido come già l'indimenticabile Pupella. Straordinario Francesco Silvestri nella parte del "rivale" Ianniello, bravo Gigio Morra, e nel complesso una bella compagnia. Molti applausi scroscianti a Roma, un meritato successo.


Sabato, domenica e lunedì
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Intervista ad Anna Bonaiuti

 
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