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Lamento per Mike

di Roberto Fedi
  Mike Bongiorno
Data di pubblicazione su web 08/09/2009  

Se esiste un dio della televisione – ma ne dubitiamo, come di quell’altro – è sicuramente un dio crudele. Altrimenti non lo avrebbe tolto di mezzo così, improvvisamente, mentre era in vacanza a Montecarlo e stava per iniziare una nuova e forse non voluta (ma sicuramente puntigliosa e orgogliosa) avventura su Sky, dopo che da Mediaset (lo scrivemmo a suo tempo) gli avevano dato il benservito in quattro e quattr’otto con la scusa che era vecchio. Giovane non era: 85 anni. Che non sono pochi, ma sono gli stessi più o meno del Presidente della Repubblica, che ha, si direbbe, responsabilità un po’ più pesanti. Così, deluso da chi aveva contribuito a rendere grande (la televisione privata italiana, che ora si chiama Mediaset e dove lui era arrivato in gloria quando pochi ci avrebbero scommesso), se ne era andato su Sky, forse invitato dall’amico Fiorello: come dire dal più grande entertainer d’Europa, talmente intelligente da legare ultimamente  buona parte della sua carriera (almeno negli spot pubblicitari: deliziosi tutti) a questo grande giovane-vecchio della televisione.

Onestamente, non avremmo mai pensato di scrivere questo articolo per lui. Siccome siamo cattivi, ci avrebbe fatto piacere (beh, diciamo almeno non dispiacere) scriverlo per qualcun altro, di cui taciamo il nome. È che Mike non era un uomo di televisione: era la televisione, tout-court. Pensate a qualsiasi altro presentatore televisivo: se sparisse oggi (per ritirarsi in convento, non all’altro mondo) ne sentireste la mancanza? Vi sembrerebbe di dover affrontare lo schermo vuoto, d’ora in poi? Nemmeno per idea. Anzi: una liberazione.

Perché tutti gli altri, quelli che imperversano, hanno la colpa di essere ingombranti. Siccome non sanno fare quasi nulla, vogliono fare tutto: cantano, ballano, fanno gli spiritosi, occupano lo schermo, si pavoneggiano, si abbronzano come carboni, si cambiano pettinatura, vanno in Tv in camicia, raccontano barzellette, li trovi anche al telegiornale. Lui no: era così bravo e innovatore che faceva solo quello, mettendosi al servizio della trasmissione e dei concorrenti (la sua specialità erano i quiz: parola che entrò nella lingua italiana con lui, come tante altre), con equilibrio. Non risulta che abbia mai detto una parolaccia in televisione dal 1955, quando iniziò Lascia o raddoppia?. Qualche gaffe, sì: non si sa quanto spontanea o voluta (noi personalmente propendiamo per la seconda ipotesi: era così intelligente e padrone di sé che non sarebbe caduto in una gaffe neanche se gli fosse crollato lo studio addosso). Era così mitico (diciamo la parola, una buona volta) che si crearono  anche leggende, come quella celebre della signora Longari, al Rischiatutto. “Ahi ahi ahi, signora Longari, lei mi è caduta sull’uccello!”, dopo un errore della bravissima (e bella) signora su una domanda di ornitologia. Lui, e la signora, giuravano che la battuta non era mai stata detta, ed era solo, appunto, un’amplificazione del mito, un’invenzione che aveva preso piede. Chi scrive, che allora era un ragazzo, sarebbe disposto a scommettere che la sentì: ma si sa come accade con i miti. Uno, a volte, anche senza volere ci crede,  sono tanto belli che sembrano veri.

Era uomo di una totale discrezione, ironico e autoironico – come tutte le persone intelligenti. Tutto il contrario di quello che succede, è successo e succederà, ai suoi colleghi, molto meno bravi di lui e quindi presumibilmente gelosi e vogliosi di apparire anche sui giornali. Lui, no: non si ricorda uno scandalo o scandaletto, una parola fuori posto, una sgarberia. Credeva in quello che faceva, fosse anche La ruota della fortuna (guardate in che mani è finita). Una volta che si accorse che una concorrente aveva cercato di barare, la redarguì (“Vergogna!”) come se l’avesse trovata a frugare nella cassetta delle elemosine. Insegnò con l’esempio, in questo, un notevole decoro a tutti, non solo a quelli che ‘fanno’ la televisione: il rispetto per il proprio mestiere, l’avversione per lo snobismo, il lavoro fatto bene e artigianalmente, qualunque esso fosse. Gli ultimi anni lo avevano un po’ emarginato su Rete4, lui che avrebbe meritato ben altro, ma fece ciò che doveva con la solita bravura e la solita serietà. Era, su questo non c’è dubbio, una persona seria.

Era nato a New York nel 1924, e della televisione capì tutto subito, abbondantemente in anticipo sui tempi. Aveva capito subito tutto anche di altre cose: mentre altri (anche celeberrimi e poi ‘maestri del pensiero’ e Nobel) facevano i repubblichini, salvo poi cercare di farlo dimenticare in fretta con i fazzoletti rossi, lui, neanche ventenne, si unì alle formazioni partigiane. Venne arrestato, imprigionato, condannato a morte, e si salvò solo per uno scambio di prigionieri con gli americani (lui, nato in America, aveva documenti statunitensi). Mai se ne è gloriato, mai ha cercato patacche per questo. Lo riteneva, sicuramente, un suo dovere da esercitare nel modo migliore, un lavoro serio da fare bene. Così come fece bene, anzi da maestro, tutti i programmi che inventò e che diresse: dalla formidabile Lascia o raddoppia? al Rischiatutto, da Campanile sera alla Fiera dei sogni: ed è inutile continuare un elenco che è nella memoria storica di questo Paese, compresi gli undici ‘Sanremi’. Nel 1961 Umberto Eco gli dedicò un banalissimo saggetto intellettualistico  da presuntuoso snob della domenica, Fenomenologia di Mike Bongiorno, di cui si spera che nel seguito della sua vita si sia vergognato (ma ne dubitiamo). Ovviamente, come tutti gli spiritosi per contratto, non aveva capito nulla. Lui non reagì, ed ebbe anzi sempre un rispetto onesto e sincero per – chiamiamola così – la cultura. Che lui intendeva con la C maiuscola, naturalmente, come ogni persona dabbene e di un’altra epoca.

Era nato, come abbiamo detto, a New York ed è morto l’8 settembre a Montecarlo. Può anche darsi che il dio della televisione sia crudele, come abbiamo detto, ma forse non sciocco: uno così, così serio, così bravo, così onesto, non poteva né nascere né morire in questa Italia.

Come avrebbe detto lui: so long, Mike. Have a nice journey. I miss you.








 
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