Ogni civiltà, per essere tale, deve avere dei tratti pertinenti, cioè degli elementi che la caratterizzano e la distinguono nel tempo, rendendola riconoscibile. Certo è esagerato riconoscere nella corruzione del suo apparato amministrativo uno dei tratti pertinenti della madre Russia ma, a giudicare dalla persistenza di certe figure che attraversano la sua letteratura e giungono impavidamente nel presente, ci sarebbe da farci un pensierino. Soprattutto vedendo con quale naturalezza lo spirito sarcastico e disperato di Gogol, le sue grottesche creature che hanno attraversato la provincia russa e che hanno via via assunto aspetti più moderni, siano oggi pronte a occupare la ribalta della contemporaneità. Una contemporaneità che pare non avere nulla in comune con la sonnacchiosa e retriva provincia degli zar, con la pigra amministrazione ottocentesca. Quanta storia è passata da allora, quanto tempo e quante tragedie, e quanti rivolgimenti (forse nessun paese ha subito traumi istituzionali e culturali paragonabili), e quanti mutamenti di costumi! Eppure eccoli lì gli ometti che si affaticano a salire le scale della nuova promozione sociale, eccoli lì a recitare quel misto di prepotenza e di umiliazione che sta nella catena dellapparato amministrativo, eccoli lì pronti, ancora una volta, a uscire dal Cappotto del grande Nicolaj.
Gli ammodernamenti di opere del passato sono il più delle volte forzosi esercizi e invece ecco che basta ammodernare un ufficio, mettergli a capo un pletorico maneggione e come per incanto la situazione si ripete, la santa nuova Russia, con un po più di inglese, e con alcune nuove parole del lessico efficientistico dellOccidente, è pronta ad essere gogoliana. Non occorre altro. Basta vedere la naturalezza con cui il giovane e già sicuro regista Ilya Demitchev con un colpo di bacchetta ricrea una compagine impiegatizia, la volgarità del capufficio, larrivismo della funzionaria (che pare anche non immemore della fantozziana signorina Silvani, ma anche Fantozzi non è creatura gogoliana?), il servilismo, le pratiche corruttive come aspetto saliente del suo nuovo paese. E basta vedere la naturalezza con cui il grottesco si trasforma in tragedia nella figura del protagonista (alto funzionario sperimentatissimo nello sport della bustarella) quando una crisi, detà, non di morale, gli fa fare un errore marchiano, lo precipita nellumiliazione, nel carcere, e poi, con rapido declino, nella morte.
Il regista non ci lascia alcun dubbio sul fatto che gli altri continueranno a gozzovigliare, tra un pranzo sociale (magari mangiando Kakraki, aragoste, simbolo della nuova volgarità), un incauto acquisto (irresistibile la scena dellinnamoramento del capo per le scarpe costose) e una busta rigonfia. Il racconto morale fila egregiamente dallinizio alla fine, sostenuto da una sceneggiatura sicura e non sovrabbondante, oltre che, naturalmente, da una schiera di attori di altissima qualità, la crudeltà con cui locchio del regista accompagna il protagonista nel suo declino è già quella di un autore di vaglia.
Piccolissimo P.S. in corpo minimo: potremmo risparmiarci di affidare il dibattito finale (il film è stato proiettato nella sezione “Settimana della critica”) ad un giovane critico entusiata che chiede al regista se conoscesse lopera di Gogol prima di fare il film o se l abbia letto durante le riprese? |
|