Un bel ritorno quello di Jacques Rivette al Lido: ironico, sorprendente, profondo e malinconico, 36 vues du Pic Saint Loup è un film che ha il pregio di mettere insieme leggerezza e complessità, nel segno di quella ricerca personale che il vecchio maestro della Nouvelle vague sembra non aver, per fortuna, ancora smarrito.
Lantefatto della storia viene ricostruito dai frammentari indizi disseminati da alcuni dei personaggi: il giorno prima della tournée estiva, il proprietario e fondatore di un piccolo circo scompare tragicamente; per tentare si salvare la stagione, i membri della compagnia decidono di rivolgersi alla figlia Kate (Jane Birkin), che quindici anni prima aveva abbandonato il circo, in polemica con il padre, dopo la tragica morte delluomo che amava. Il caso vuole (ed è qui che inizia il film) che un giorno, sulla sua strada incontri un fascinoso italiano (Sergio Castellitto) che, invaghitosi vagamente di Kate, seguirà il circo in alcune tappe della tournée, inserendosi nella vita della compagnia fino a debuttare addirittura in una scena dello spettacolo.
Linserimento del personaggio di Vittorio, vera e propria guida allinterno delle vicende del film, è funzionale allo svelamento del segreto di Kate, ovvero il mistero del suo abbandono e della sua difficoltà di vivere e di fare i conti con il passato. Su questa esile traccia drammaturgica tuttavia Rivette compone un film di pure divagazioni metaforiche, di detours metanarrativi che fanno spesso perdere allo spettatore il senso e lo sviluppo del racconto stesso. Le scene con i clown, ad esempio (che già di per sé costituiscono un interessante esperimento di scrittura tragicomica, che sembra rifarsi a Ionesco e a Beckett), sono tutte incentrate sulla mancanza di azione, sulla ripetizione, in mille varianti, di uno stesso numero fatto di poche cose: una sedia, dei piatti, una pistola, una valigia e tre tristi clown, alle prese con un pubblico sparuto. Questa dimensione metafisica del reale (ottenuta spesso attraverso luso del carrello che dagli esterni delle stradine entra nellinterno del tendone) crea nel film unatmosfera di crisi del rapporto non solo tra gli individui, che si trovano, si perdono, si ritrovano, ma anche tra i personaggi e il paesaggio. Simbolo più che mai evidente di questa deriva verso lindeterminatezza è proprio la montagna del Pic Saint Loup che dà il titolo al film e che si trova nella Francia del sud, vicino a Montpellier (la stessa location de La belle noiseuse): essa appare infatti come una sorta di personale rilettura visiva della montagna Saint-Victoire dipinta più e più volte da Cézanne. Come questa, anche quella di Rivette (che apre e chiude il film) sembra essere limmagine multiforme e perennemente cangiate del mistero del mondo e dellinafferrabile essenza della realtà. Tutti i personaggi, infatti, alla fine di questa vicenda al contempo romantica, misteriosa e comica, riprenderanno appunto la loro strada. Ma quale, appunto?
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