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Tutti gli uomini del presidente

di Marco Luceri
  Videocracy
Data di pubblicazione su web 12/09/2009  

In questi giorni d’inizio Mostra è stato il film “italiano” più atteso dopo Baarìa, perché al centro di polemiche roventi già da alcuni giorni: girato da Erik Gandini, un giovane regista italiano («nato – come ha affermato egli stesso – sotto le peggiori condizioni televisive») emigrato in Svezia, Videocracy è un atto d’accusa contro la volgare spettacolarizzazione della vita pubblica italiana dopo l’avvento nel nostro paese della televisione commerciale. Il film inizia infatti in un’anonima serata del 1976, quando una televisione locale trasmise un quiz dove i telespettatori da casa potevano rispondere alle domande: per ogni risposta corretta una casalinga si toglieva un indumento accennando una breve danza.

 

Nessuno allora avrebbe potuto immaginare che proprio quello squallido spettacolo a colori ancora sgranati sarebbe stato l’inizio di quella rivoluzione televisiva che avrebbe per sempre rivoluzionato il panorama politico, sociale e culturale del nostro Paese. Il film conduce quindi un’inchiesta su un sottobosco fatto di veline, tronisti, riccastri vari (da Fabrizio Corona a Lele Mora ecc.), ricorrendo a una ricchissima selezione di materiale di repertorio, per raccontare da un punto di vista esplicitamente “di parte” l’imbarbarimento, apparentemente incontrastato, di un’intera nazione.

Questo pamphlet accusatorio, che uscirà miracolosamente da oggi in 30 sale sparse sul territorio nazionale grazie a Fandango, è un attacco diretto non solo allo strapotere mediatico di chi ha inventato e fatto crescere in Italia la televisione commerciale, ovvero Silvio Berlusconi, ma soprattutto il ritratto di un epocale cambiamento antropologico subìto da un popolo ormai per l’80% completamente anestetizzato dal controllo dell’informazione e ossessionato da un modello socio-culturale votato alla più sfrenata vacuità. Ha ragione da vendere Lele Mora quando, dentro uno dei suoi caftani fin de siècle, dice che ormai l’unica ragione di esistenza per milioni di italiani è quella di “tele-apparire”: è questo il viatico per avere denaro, ricchezza, potere, sesso, è questa l’Italia di Berlusconi, è questa l’idea più alta di libertà che ha il suo popolo (ora partito), quella delle tette, dei culi, delle smargiassate, dei tatuaggi, dei tavoli al Billionaire, del Grande Fratello e giù giù…



La metafora forse più amara sullo smarrimento e sulla perdita d’identità della nazione, e soprattutto di quella gente più indifesa e inerme di fronte al martellante attacco del Caimano, è rappresentata dalla figura del giovane operaio veneto di 26 anni che sogna di diventare il Van Damme italiano e poter quindi passare in tv. Con un'abnegazione che rasenta la follia si applica ogni giorno davanti a una telecamera amatoriale; la sua mamma dice che non ha mai avuto una ragazza, ma lui ribatte che la vita d’operaio per tutta la vita non la vuole proprio fare. Quanti di questi anonimi ragazzi la pensa così? In tanti, a giudicare dai voti che nel Nord Est e nel resto del Paese prendono Pdl e Lega. Parla della crisi della sinistra italiana più il ritratto di quest’operaio che tutti i dibattiti politici di Pd e dintorni fatti negli ultimi anni. Del resto, come diceva Nanni Moretti ne Il caimano «Berlusconi ha già vinto trent’anni fa».  



Videocracy
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Erik Gandini


 
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