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Al di là di Bayreuth

di Paolo Patrizi
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Data di pubblicazione su web 17/07/2009  

Il Tiroler Festspiele di Erl – una decina d’anni di onorata militanza nel repertorio wagneriano in un auditorium, originariamente deputato alle Passioni pasquali, a cinque chilometri da Kufstein, tra poche case sparpagliate, pascoli di mucche e le montagne davanti – è il vero anti Bayreuth. E non solo perché questo Wagner alla tirolese non ha nulla della sacralità del Tempio di Richard in terra di Baviera: se in quella sorta di santuario musicale si arrivò, per volontà dell’autore, alla cosiddetta orchestra invisibile – con il golfo mistico nascosto sotto una lamina di legno, e il prodigioso equilibrio di rapporti sonori tra buca e palcoscenico che ne consegue – qui abbiamo un’orchestra a vista, posta alle spalle dei cantanti. Un vero e proprio personaggio dello spettacolo, insomma. La soluzione è di fortuna (bisogna ovviare all’assenza della fossa orchestrale e a un palcoscenico insufficiente, oltretutto in parte occupato dall’organo necessario a eseguire le Passioni), ma non manca di suggestione; e il fatto che oggi si sia passati a una programmazione più generalista, dove Wagner spadroneggia ma non in via esclusiva (quest’anno accanto ai Meistersinger si sono avuti il Beethoven di Fidelio e lo Strauss di Elektra), non ha tolto l’atmosfera di un tempo al festival, che per tutti – grazie anche al logo dominato da un’inconfondibile silhouette quadrupedica – continua a chiamarsi “Wagner tra le mucche”.

Come sempre, in tutti gli spettacoli (ma questa recensione dà conto solo di Elettra e Maestri cantori) a fare da padrone di casa è Gustav Kuhn, nella doppia veste di direttore e regista. Lo circondano cast – dove non manca qualche italiano – duttilissimi, in cui lo stesso interprete, da una sera all’altra, passa da parti protagonistiche a laconici comprimariati; e se si tratta per lo più di cantanti giovani, molti dei quali usciti dai corsi tenuti da Kuhn in Lucchesia, è possibile scorgere in locandina anche qualche nome celebre. Dover fare tutto in spazi ristretti non è sempre un danno: in Elektra il problema viene aggirato usando come scenografia una serie di sedie, differenti per altezza e dimensioni; mentre nei Meistersinger – opera in cui l’azione è ben più dinamica – la necessità di dilatare la visuale viene risolta con l’inserimento di una pedana aggettante verso la platea. Semmai si può lamentare una discrasia tra ciò che Kuhn realizza dal podio e quanto fa in cabina di regia.


Elektra

Nell’Elektra tanto il Kuhn direttore è coeso, naturalistico e asciutto (la necessaria tensione c’è tutta, senza però tentazioni espressionistiche, anche per via di un’orchestra corretta ma non in grado di produrre una grande mole di suono) quanto il Kuhn regista è divagatorio, propenso all’affondo simbolico (c’è anche l’innesto di un personaggio mimico-danzante assente nel libretto) e ad andare sopra le righe (non mancano le “trovate” umoristiche, talvolta spiritose, più spesso fuor di luogo). Anche nei Meistersinger regista e direttore non partono da presupposti convergenti: la bacchetta si concentra sui protagonisti, lasciando su uno sfondo un po’ indistinto i maestri eponimi, laddove la regia si dimostra più sensibile alla dimensione corale della commedia.

 

In ogni caso, il Kuhn concertatore qui appare notevolissimo: è raro sentir dipanare con tanta chiarezza la fitta tramatura contrappuntistica dei Maestri cantori; ed è ancor più insolito che ciò possa avvenire con la naturalissima fluidità, priva di qualunque compiacimento analitico, che il maestro austriaco imprime alla sua lettura. Come regista, poi, Kuhn questa volta è più sobrio. Si basa, in sostanza, su un’unica trovata, ma di buon impatto teatrale: l’alternanza di costumi cinquecenteschi – rispettosi cioè dell’epoca del libretto – e moderni. Non nel senso, però, di un generico diacronismo, ma con una precisa funzione psicologica: sicché quando nel primo atto i maestri, in giacca e cravatta, bocciano la canzone di Walter perché troppo innovativa, tanta ottusità viene descritta con la loro sdegnata vestizione in mantelli rinascimentali; e quando al contrario, nell’ultimo atto, verranno finalmente conquistati dall’arte nuova del giovanotto, l’iter dell’abbigliamento sarà – ovviamente – del tutto opposto.

I maestri Cantori

Elektra porta il peso d’una protagonista inadeguata: Mona Somm ha un certo magnetismo scenico, ma i limiti vocali le impediscono una reale scolpitura del personaggio. È un controsenso – canoro e drammaturgico – ascoltare una Clitennestra (la promettente Martina Tomcic) di voce più sana e fresca della figlia; e Michela Sburlati per peso e timbratura (un autentico lirico spinto) sarebbe una Crisotemide ideale, se non fosse che la sua vocalità risulta troppo ampia e risonante in rapporto a quella, secca e vuota, della protagonista: sicché – altro controsenso – la liliale sorella minore qui rischia di apparire più matronale dell’invasata sorella maggiore. Michael Kupfer, come Oreste, mostra una vocalità baritonale potenzialmente interessante, ma, nella recita di cui si dà conto, pressoché ingiudicabile a causa d’una persistente raucedine. Non troppo a fuoco le numerose parti di fianco, con la possibile eccezione di Dirk Aleschus nei panni del vecchio servo: un gigante di circa due metri e oltre il quintale, spesso impiegato nei teatri austriaci – grazie alla sua debordante fisicità – anche in ruoli primari sopra le righe (Ochs del Rosenkavalier, il borgomastro di Zar und Zimmermannn…), ma la cui vocazione, probabilmente, è quella del sapido caratterista.

 

Lo ritroviamo quale maestro calzettaio nei Meistersinger, accanto a una buona nidiata di altri comprimari. Nel cast questa volta spiccano due nomi famosi, il protagonista Oskar Hillebrandt e il basso Franz Hawlata. Purtroppo il primo, un po’ logorato da una lunga e onerosa carriera, presta il fianco a riserve: l’impostazione è quella di un Hans Sachs tendente a privilegiare il tono oratorio a quello discorsivo, ma nel terzo atto forzature di suono e tendenza a sostituire – anche nei momenti relativamente lirici – la declamazione al canto diventano davvero troppo marcate. Hawlata – che spesso interpreta Sachs, mentre qui si ritaglia il ruolo di Pogner – è invece esemplare per omogeneità, morbidezza e sensibilità interpretativa con cui, nel secondo atto, sa raffigurare i turbamenti di un padre che avverte come la figlia si stia allontanando da lui.

 

Non troppo convincenti, tra i giovani, Maria Gessler (un’Eva povera di cavata compromette un po’ l’incipit del quintetto) e, soprattutto, Michael Baba (un Walther il cui canto sembrerebbe giustificare la bocciatura inflittagli dai maestri). Molto gradevole, invece, il David di Andreas Schagerl (ecco un caso di “secondo tenore” assai più appagante del tenore protagonista) e pressoché ideale il Beckmesser di Martin Kronthaler: gran dominio virtuosistico, sottile perfidia di accenti, gioco scenico in punta di forchetta ma mobilissimo. Accoglienza calorosa per tutti, compreso, nell’Elektra, l’attore Franz Winter: infatti, data la relativa brevità dell’opera, la serata è stata preceduta dalla lettura scenica del testo di Hofmannsthal, che ovviamente vive di vita propria al di là della messa in musica di Strauss. È stata l’occasione, almeno per i non austriaci, di scoprire una voce mobile e calda, capace di modellare differentemente il suono in rapporto a ciascun personaggio e proiettare il testo di Hofmannsthal con musicale chiarezza. Insomma non un prologo posticcio, ma un valore aggiunto per l’ascolto operistico a seguire. E se esperimenti del genere si facessero anche in Italia?



Lettera da Erl "Elektra" e "Die Meistersinger von Nürnberg"

Elektra
cast cast & credits
Die Meistersinger von Nürnberg
cast cast & credits

 

 

 

Festival di Erl, Innsbruck, Austria, 3-26 luglio 2009


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