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Kleist o non Kleist

di Sara Mamone
  Pentesilea
Data di pubblicazione su web 30/11/2002  
Lo spettacolo che Peter Stein ha allestito quest'anno per un circuito europeo di teatri classici e che ora circola, con i necessari ma certo dolorosi adattamenti, per le sale chiuse dei teatri d'Italia è certamente uno degli eventi della stagione. Perché si tratta, diciamolo subito per evitare ogni malinteso, di uno spettacolo eccezionale: per sforzo produttivo, per dimensioni di cast (chi si azzarda ormai nel teatro di prosa a metter in scena oltre venti attori?), per l'impegno assoluto del regista e della protagonista (che arrivano a questa prova dopo aver coltivato per decenni il sogno, e non per occasionale frivola contingenza), perché nessuno, oggi, è in condizioni migliori di Peter Stein e Maddalena Crippa per riuscire nell'impresa di rendere "accettabile" il demonismo tragico e la contemporanea rivendicazione della pura soggettività di Heinrich von Kleist (1777-1811).

Pentesilea

E nessuno meglio di loro (lui perché di Kleist è certo il più grande interprete contemporaneo, lei per progressivo affinamento culturale e linguistico oltre che per l'ormai lungo sodalizio privato e artistico con lui) è in grado di far passare insieme emozioni e grandezza ad un pubblico sostanzialmente estraneo alla "modernità" di Keist. Su questa modernità del grande autore tedesco non siamo d'accordo col grande regista tedesco. A meno di essere d'accordo sul fatto che tutto ciò che è grande è eterno, e perciò contemporaneo.

La complessa vicenda della regina delle Amazzoni che, preda dell'amore per Achille e da lui ricambiata, finisce in un accesso di furore dionisiaco (la situazione è presa pari pari dalle Baccanti euripidee) per ucciderlo e farne scempio, salvo poi rientrare faticosamente, come svegliandosi dalla trance, in uno stato di coscienza e disperazione al di là del quale non resta che il morire, non ci pare moderna e ancor meno moderna la forma kleistiana. E d'altra parte il rapporto di Stein con questa modernità ci pare contraddetto dall'inserimento di un ingombrante coro che riporta la tragedia alla sua forma antica, invece di accompagnarla in quella concentrazione sui singoli nei quali risiede molto della coscienza moderna.

Stein segue infatti l'autore non restringendo le sue storie nel boudoir ma allontanandole in una dimensione grandiosa e ferina, popolando la scena di atlete scatenate abbigliate in costumi di pelle dall'indefinibile datazione (preistoria o fantascienza), segnando con abbaglianti muri di luce i momenti più forti dell'azione o del racconto, isolando in nicchie luminose le silhouettes dei protagonisti (l'uso delle luci è sofisticatissimo e molto impegnativo). C'è insomma molto attorno ai personaggi principali, forse troppo (troppi rumori comprese le assordanti attualizzazioni di attacchi d'elicottero alla Apocalipse now). Questa sensazione di eccesso è però forse dovuta alla traumatica riduzione che lo spettacolo ha subìto passando dagli spazi suggestivi e praticamente infiniti dei siti archeologici alla limitatezza dei teatri tradizionali, per cui noi parliamo di uno spettacolo mutilato.

Uno spettacolo che resta comunque importante, soprattutto per le prove attoriali: Maddalena Crippa - che giunge a questo spettacolo con un allenamento fisico eccezionale e che appare oggi l'unica attrice italiana in grado di sostenere il tour de force (non certo solo fisico) che il personaggio impone - è straordinaria per la sensazione di forza e giovinezza che trasmette, ma anche per i suoi smarrimenti, per il bellissimo finale in cui si svuota progressivamente della sua forza e decide della sua morte. Interessante la scelta "in minore" per l'eroe Achille reso con dolcezza e misura da Graziano Piazza. Accanto a loro meritano senz'altro di essere segnalate la sempre impeccabile Anita Bartolucci e la sfumata, intensa Pia Lanciotti. Per concludere, dunque, uno spettacolo discutibile. Il che, di questi tempi, è un gran complimento… 


Pentesilea
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