En attendant la riapertura del Petruzzelli lomonima Fondazione lirico-sinfonica di Bari non si scoraggia per la natura itinerante delle sue sedi esecutive; al contrario mostra un orgoglio e una vitalità davvero lodevoli. Dopo il successo di Valchiria, è la volta dellElisir damore in una nuova produzione della Fondazione che continua a fare di necessità virtù: lo spazio ritagliato nel grande padiglione 7 della Fiera del Levante, nonostante gli insormontabili problemi dordine acustico, dà luogo a ‘sperimentalismi coatti che sul piano scenico si dimostrano efficaci. Il proscenio qui va infatti ad accerchiare lorchestra e quello che è il wagneriano ‘golfo mistico diviene un ‘atollo mistico nel quale i cantanti danno le spalle al direttore illudendosi di svincolarsi dalla sua bacchetta (ben presente sui monitor posti dietro il pubblico). È ozioso sottolineare che in questo contesto la scenografia riveste un ruolo protagonistico e il talento di Tommaso Lagattolla garantisce una qualità suprema allo spettacolo: attingendo a piene mani dallimmaginario surrealista di Magritte, lo scenografo realizza uno spazio al tempo stesso funzionale e ricco di segni che solleticano le capacità sinestesiche del pubblico già al di fuori del padiglione-teatro, dove si è accolti da una mela, un contrabbasso, un cuore trafitto, tutti giganti e circondati da cielo & nuvolette magrittiani.
Questo cielo si ripropone sulla parete di fondo e sulle tre case in stile villetta di Biarritz (e proprio nei paesi baschi si ambienta lopera di Romani-Donizetti) che avanzando verso il proscenio si aprono come i bauletti dei ciarlatani-Dulcamara, mostrando al loro interno più che altro specchi, allusivi al gioco di finzioni che impronta il melodramma (Nemorino fino alla fine crede che il vero amore sia frutto della falsificazione dei sentimenti operata dallelisir). Il riferimento pittorico delle scene è davvero intrigante: attraverso la logica di Magritte, Lagattolla comunica la natura anfibia di questa vicenda, sospesa tra la fiaba e la realtà, tra la ricostruzione realistica di un ‘paesaggio sonoro e la citazione del filone larmoyant (Piccinni-Paisiello-Bellini). Se si estende la logica di Ceci n'est pas une pipe alla vicenda rappresentata vien da pensare che Nemorino nest pas un sempliciotto analfabeta (ciò spiegherebbe meglio il repentino cambio di rotta della ricca fittavola Adina nei suoi riguardi).
Francesco Esposito (che firma regia e costumi) ha avuto il merito di non indulgere nelle trivialità spesso abbinate allopera buffa di Sette e Ottocento dalla moderna regìa operistica, tuttavia ha ritenuto di dinamizzare lElisir avvicinandone il ritmo scenico a quello di unoperetta o meglio, di una commedia musicale sul tipo del Rugantino (1962). Alcune invenzioni si sono dimostrate di sicuro effetto: il combattimento a suon di mama non mama nel duetto del primo atto tra Nemorino e Adina con petali di margherita lanciati come guanti di sfida tra due personaggi qui avvicinati a Beatrice e Benedetto di Much ado about nothing; la quinta scena del II atto dove Nemorino se la spassa in un letto a dieci piazze con lintero coro femminile in mutandoni e culottine; infine la scelta di far dipingere a Nemorino il classico cuore con le iniziali degli amanti mentre canta Una furtiva lagrima (a segno musicale forte corrisponde segno grafico forte). Del tutto inutile la trovata di far ingravidare Giannetta da Dulcamara con tanto di esposizione del pargolo in fasce nel finale ultimo (a che pro? Il vitalismo dellimbonitore è evidente anche senza tirare in ballo la sua valentìa inseminatoria). Assai opinabile invece, sul piano registico, laver posto Dulcamara sempre sopra le righe e averlo dotato del look di Brendan Fraser nella Mummia di Sommers (1999). Beninteso, Erwin Schrott è un basso talentuoso ma la bellezza della sua voce qui veniva deformata ad hoc, con il solo effetto di saturare linteresse delluditorio (o almeno di chi scrive). Ottima la prova del giovane tenore russo Alexey Kudrya, pulito nei vari registri, misurato nellemissione (forse solo un poco immaturo nellarte ipocritica). Buona lAdina di Roberta Canziani e il Belcore di Luca Salsi (sul ruolo secondario di Giannetta – in staffetta Filomena Diodati e Manuela Boni – non cè molto da dire: dotarlo di pancione non ne muta la funzione drammaturgica).
Gli unici due ruoli di sola pertinenza maschile sono rimasti quello del prete e quello del direttore dorchestra: eppure sarebbe bello veder salire sul podio più spesso una valchiria bionda come la canadese Keri-Lynn Wilson che ha diretto lOrchestra della Provincia di Bari con correttezza e delicatezza che a tratti trascoloravano in eccessiva discrezione.
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