Una lunga pioggia di ricordi in Lultimo nastro di Krapp. E poi squarci assordanti di luce abbagliante a riempire il tempo e lo spazio di unesistenza non vissuta. Robert Wilson, oltre a firmare la regia e lallestimento, veste per loccasione i panni di Krapp, in questo spettacolo commissionato da Spoleto52 Festival dei 2Mondi. Edizione, in cui il regista texano è tornato con una doppia proposta beckettiana: Giorni Felici e Lultimo nastro di Krapp, ambedue andati in scena al Teatro Caio Melisso.
Krapp è un uomo anziano. È il suo settantesimo compleanno. Seduto alla scrivania si prepara a fare una registrazione su bobina delle sue considerazioni rispetto allanno trascorso, come ha sempre fatto il giorno del suo compleanno. Elegantemente vestito, degli stessi colori (grigio e nero) del mobilio della sua stanza, riordina meticolosamente e ossessivamente ogni sensazione, oggetto e ricordo. Salvo quelle calze rosse indossate da Krapp, in fondo alla scena, mai illuminate, dimenticate. Tutti gli eventi della propria vita sono registrati e annotati in un enorme registro, che gli consente di accedere facilmente al suo passato. Nel prepararsi alla nuova incisione, ascolta una registrazione di circa trentanni prima. Sente la voce delluomo fiducioso e speranzoso nel fiore dei suoi anni. Stenta a riconoscersi.
Con precisione e rigore di movimento, di luce e di suono, Wilson, si addentra nellabisso del suo personaggio, ne indaga profondità, necessità, manie, tic e perversioni, restituendocelo in una visione estremamente particolare e allo stesso tempo universale. Riderà con ironia di se stesso Krapp, nel risentire (più volte), la fine di una sua vecchia relazione con una donna (Effi). Krapp domina tutto. Per assecondare le proprie paure ha imparato a dominare la sua stanza-prigione, la pioggia, larte, la luce, letà. Ai tempi della registrazione il giovane, vedeva la rottura come inevitabile e pregustava nuove conquiste e trionfi. Ora, guardando indietro, si rende conto che quella donna è stata lultimo grande amore della sua vita, e nel rinunciare a lei ha perduto, la possibilità di essere felice. Se da un lato, quelle calze rosse, tornano a stonare nel contesto generale della scena, dallaltro, faranno da guida a una sala che, addentratasi nel labirintico universo buio di Krapp, scorge in lontananza la luce fioca di un faro, segno di vita, di confronto, di altri. Krapp scappa. LAmore in lui, si maschera in Terrore. Ha perso. Dora in poi potrà solamente vivere, come nel finale, di quella luce riflessa dalle sbarre della sua stanza-prigione, continuando ossessivamente ad incidere bobine, prive di vita.
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