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Il mito in scena, fra corpo e racconto

di Carmelo Alberti
  Giorgio Barberio Corsetti
Data di pubblicazione su web 01/10/2002  
Nasce dalle pieghe del visibile, e si snoda come un'esplorazione onirica, sospinta tra le combinazioni possibili degli elementi naturali, acqua, aria, terra e fuoco, tra cielo e suolo, toccando momenti di alta suggestione, lo spettacolo che Giorgio Barberio Corsetti ha tratto dalle Metamorfosi di Ovidio, rappresentato in prima assoluta in un ampio spazio dell'Arsenale di Venezia. L'evento parte dal presupposto che esistesse un tempo in cui i miti erano scritti nelle infinite strade del cosmo quando, in virtù di una diffusa consapevolezza simbolica, gli dei incontravano gli uomini. Oggi, nonostante i suoi segni appaiono flebili, la memoria arcaica conserva comunque un fascino misterioso, tenuto desto dalla persistenza dei racconti mitologici. L'aspetto distintivo della realizzazione sta nella costante ricerca di un equilibrio accettabile fra narrazione e corporeità, sulla scia di un uso convinto delle tecniche del teatro-circo, un linguaggio che Barberio Corsetti ha contribuito a valorizzare e a far conoscere nel periodo della sua direzione alla Biennale Teatro e, a partire da qui, ha frequentato personalmente seguendo un tragitto da laboratorio: a monte della realizzazione c'è, infatti, nel giugno 2001 una prima elaborazione a Pontedera, intorno ad un solo episodio delle Metamorfosi; la preparazione è continuata a Venezia e, poi, alla Ferme du Buisson a Parigi e alle Halles de Schaerbeek di Bruxelles, due momenti del Festival "Temps d'images".

Gli episodi tratti dal poema di Ovidio sono ora sviluppati attraverso una molteplicità di livelli, descritti con ironia e, insieme, con drammaticità, in un gioco allusivo e paradossale di trasformazioni ininterrotte, dall'ambito divino a quello umano, animale, vegetale, acquatico, aereo. La linea di coesione risiede nella presenza di Orfeo, colto nell'atto di strappare Euridice dal regno dei morti. All'inizio, nella zona delle Gaggiandre, un luogo magico in cui la laguna s'insinua sotto le volte delle fabbriche, gli interpreti si confrontano con la tenebrosa profondità dell'acqua: vittima di un morso di serpente, la donna amata dal poeta s'avvia verso la barca che la porta le anime negli inferi, camminando sospesa su un filo. Orfeo, dopo il fallimento di un'impresa troppo ardua per un uomo, accetta di essere la voce narrante delle "metamorfosi" che, dapprima nel vasto e suggestivo Giardino delle Vergini, poi sotto le volte di un grandioso capannone, gli artisti francesi del gruppo Les Colporteurs e gli attori della compagnia Fattore K animano in forma itinerante, adoperando un parlato franco-italiano, volutamente dissonante. S'illustra così la vicenda di Atteone che, per aver visto il corpo senza veli di Diana al bagno, è trasformato in cervo ed è divorato dai suoi stessi cani; si elabora la disavventura di Callisto, la ninfa violata da Giove, che la gelosa Giunone tramuta in orsa e che, sotto tali spoglie, viene cacciata dal figlio, prima di essere assunta fra le costellazioni del cielo.

Alla stregua di un albero che esiste perché continua a ramificarsi, il sistema narrativo delle Metamorfosi di Barberio Corsetti insegue le interferenze da un episodio all'altro; quei temi noti e meno noti che hanno ispirato una vasta produzione letteraria e artistica in un arco di tempo ampio quanto la modernità appaiono come i numeri di un grande spettacolo elaborato sotto lo chapiteau dell'universo. Risulta truce e aspra la trascrizione scenica della storia di Licaone, che si nutre con le carni dei suoi figli, prima di essere rinchiuso da Saturno nel corpo di un lupo feroce. Seguono il racconto appassionante di Erittonio dal corpo di serpente, un essere nato dall'amplesso fallito fra Vulcano e Atena, quello di Tiresia, colui che avendo vissuto le mutazioni femminili e maschili diverrà cieco e indovino per avere contraddetto Giunone e favorito Giove in una disputa. È toccante e raffinato il calvario di Narciso che, affidandosi agli avvitamenti di un ginnasta contorsionista sopra lo specchio dell'acqua, si ammira e si strugge dinanzi ai riflessi della propria immagine. Per il dramma di Penteo, il re travolto dalla curiosità di spiare i riti delle baccanti, e per la fuga di Bacco si sviluppa un crescendo di esercizi da trapezio e di equilibrismi, un avvolgente gioco d'inseguimenti e di fughe.
Nella realizzazione di Barberio Corsetti conta lo slancio verso la definizione di una moderna cosmogonia, che sia prossima al nostro quotidiano; lo sguardo del regista, che non esita a profanare e a deridere i luoghi comuni, punta verso una significazione immediata, persino ovvia. Ne viene fuori il ritratto frastagliato di una condizione umana sofferente e incerta, eppure vitale; affidandosi alla luminosità del racconto la vita s'innalza fino alle vette della poesia. Qui il teatro, che fa ricorso alle tecniche acrobatiche del circo, per fonderle in maniera ancora grezza, eppure efficace, con l'arte dell'evocare, serve a tradurre le alchimie di mille metamorfosi in lievità visiva e in smarrimento, anche per effetto della distanza che c'è fra l'immensità dello spazio e la fragilità dei corpi.

L'impegno profuso dagli interpreti, che si avvicendano in più ruoli, è davvero pregevole; è difficile giudicare in modo consueto l'efficacia di una recitazione in continuo sviluppo, quando si pone in termini di sfida alle leggi della gravità, del movimento e della statica, perché s'inoltra nel territorio della tecnica e si scolora nella vastità dello spazio. È da sottolineare, inoltre, la cifra felliniana suggerita da una musica eseguita dal vivo: provenendo dall'interno della rappresentazione, essa segna un'insinuante traccia che si riverbera nelle voci dei personaggi e risuona nella mente degli spettatori. L'immagine finale stabilisce un emozionate parallelo tra la morte di Orfeo, dilaniato dalle Baccanti, e l'assassinio di Pasolini: l'uccisione del poeta diventa una dura denuncia contro l'indifferenza e il silenzio.


Le metamorfosi
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