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La prostituzione intellettuale

di Roberto Fedi
  Mourinho
Data di pubblicazione su web 06/03/2009  

Una volta, Mou erano delle caramelle gommose, non male a dire la verità, che si appiccicavano ai denti e sapevano di malto o giù di lì. Oggi – vedete come cambiano anche i gusti – è per tutti un allenatore portoghese very trendy che allena l’Inter e ha allenato il Chelsea, e che la stampa sportiva sempre prona aveva anche battezzato Special One. Si chiama in realtà Mourinho, che ci sembra meglio.

Non vogliamo entrare in questioni calcistiche, per carità. Per altro, l’Inter è in testa al campionato, lo vincerà, e quindi c’è poco da discutere. Ma in questi giorni non si parla d’altro che di una conferenza stampa che il suddetto ha tenuto giorni fa, e dove per sette minuti (numero fatidico: tutti i giornali l’hanno rilevato, dove si vede quanto conta ancora la potenza delle suggestioni numerologiche) ha parlato a ruota libera ma con cognizione di causa. È apparso in televisione e gira freneticamente sul web: quindi, ne trattiamo qui.

Osservando intanto che il Mourinho ha una notevole capacità linguistica, cosa da non trascurare parlando di intelligenza: è in Italia da qualche mese, e parla già meglio dei giornalisti che lo interrogano. È capace di usare congiuntivi e condizionali più disinvoltamente dei commentatori della Rai durante le partite; non infila rosari di  luoghi comuni; non usa perifrasi né frasi fatte.

Bravo. Poi ha detto una cosa che ci è piaciuta enormemente, da applauso. Ha parlato di “prostituzione intellettuale” a proposito di molti dei giornalisti lì presenti o comunque scriventi o parlanti sulla stampa e alla Tv. Già il sintagma è ben confezionato, per uno che è arrivato qui pochi mesi fa (non so quanti dei giornalisti sportivi l’avrebbero saputo pescare da un repertorio di stereotipi ormai imbolsito e vecchio come il cucco: quello che usano normalmente, si vuol dire); e poi è azzeccato. Provate a vedere qualche partita del Milan, tanto per dire, su Mediaset Premium e capirete.

Bravissimo. Si dà infatti per scontato nel calcio che, se un giornalista è mettiamo di Firenze, tifi spudoratamente per la Fiorentina, se è di Mediaset per il Milan, eccetera. Può darsi che tutto questo sia inevitabile, ma se ha un nome è quello che gli ha affibbiato Mou, cioè Mourinho. Che ora i giornalisti odiano, ovviamente (sbalorditivo l’articolo di Mario Sconcerti sul “Corriere della Sera” di qualche giorno fa), e non lo chiameranno più Mou. Che è un bene, si direbbe.

Poi ha detto una cosa rilevante. E cioè che lui lavora nel calcio, ma che quello non è il suo mondo: tant’è vero che non vede l’ora di andare in vacanza. Superbravo. L’espressione “il mondo del calcio” che viene usata decine di volte in ogni Domenica sportiva (cioè la trasmissione più loffia sul calcio che si possa immaginare, lunga e noiosissima), e che tutto giustifica, è detestabile. Specialmente quando viene associata in frasi come “tutto questo non fa bene al mondo del calcio” (cioè i tafferugli, i morti, e ovviamente le polemiche e compagnia brutta). A parte la sottostima dei tafferugli e di qualche morto ogni tanto, che sembrano gravi solo in quanto “non fanno bene eccetera”, per il resto sarebbe come dire che, se uno critica il partito di governo, “tutto questo non fa bene al mondo della politica italiana”. E che discorso è? In una canzone grottesca e amaramente divertente di Jannacci di parecchi anni fa si diceva che “sempre allegri bisogna stare, ché il nostro piangere fa male al Re”. Appunto. Va bene che stiamo andando verso il Pensiero Unico, ma che cavolo.

Poi ci è piaciuto perché l’altra sera, dopo che l’Inter aveva preso una scoppola mica male (tre a zero) contro la Sampdoria in Coppa Italia, e benché piovesse come Dio la mandava, Mourinho si è presentato educatamente alla rituale intervista sul campo con un giornalista che più mesto non si poteva, e che non sapeva neanche lui cosa chiedergli. Infatti dopo due domande di quelle preconfezionate e da bocciatura in tronco a qualsiasi esame di giornalismo anche taroccato, ecco la domanda-chiave: “in merito alle polemiche di questi giorni e al suo deferimento…”. E lì Mourinho ha fatto un gesto come per chiudere il discorso, ha salutato e se n’è andato. Lasciando quel tizio lì con il carciofo del microfono in mano. L’Inter avrà perso tre a zero, ma il suo allenatore con la Rai ha vinto di sicuro.

Speriamo che rimanga in Italia, dopo aver vinto il campionato come merita. In un “mondo” di analfabeti, che mandano nelle interviste quotidiane bofonchiamenti asintattici, messaggi trasversali, allusioni, cose dette e non dette, strizzatine d’occhio, frasi fatte da far ridere i polli, ma espresse con la sicumera di uno che detta le tavole della Legge di fronte a giornalisti in ginocchio, ci voleva una caramella Mou, di quelle che appiccicavano i denti, per far capire a questi uomini delle caverne che, se si apre la bocca, lo si fa per parlare e non per grugnire.

Adesso usciamo e, se la troviamo, ne prendiamo subito una anche noi.

PS. Per chi avesse dubbi, e per evitare le solite lettere di insulti, specifichiamo che chi scrive non è per l’Inter. Come già chiarito una volta: il sottoscritto – non si sa perché – tifa, moderatamente per altro,  per l’Empoli. A ognuno il suo (dolore).






 
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