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Un’educazione sentimentale osservata dal futuro

di Carmelo Alberti
  Una scena dello spettacolo. Foto di Giovanni Tommasetti
Data di pubblicazione su web 05/03/2009  

Il regista Stefano Pagin, già conosciuto per le sue proposte innovative nella zona della commedia goldoniana – nel 2006, infatti, ha presentato con successo La bona mare sempre in ambito Biennale-Teatro – ha adattato e messo in scena Orlando, un’esemplare drammatizzazione del romanzo di Virginia Woolf, con il sostegno produttivo del Teatro Fondamenta Nuove e del Comune di Venezia. Si tratta di una sfida portata alla scrittura “androgina” della Woolf, che piega il tempo secolare alle ragioni delle passioni e dell’arte, una confronto che Pagin sposta sul versante di un’ambigua e sofferta educazione sentimentale.

Sul finire del Cinquecento il bell’Orlando, favorito di Elisabetta d’Inghilterra, s’infatua di una principessa russa, incurante del discredito in cui cade dinanzi alla corte. Il giovane, che tenta di mitigare la propria solitudine con l’esercizio della poesia, riappare nel Seicento, stordito dalla vita lussuriosa di Costantinopoli, al punto da precipitare in una confusione ipnotica, dalla quale si risveglierà mutato in donna. La sua vicenda si protrae, poi, fino all’età vittoriana e a quella post-edoardiana, quando si lega affettivamente ad un capitano avventuroso, che si perderà tra i flutti di Capo Horn; Orlando-donna schiva l’occhio censorio di una schiera di regine, e infine, per scelta di Pagin, emerge trepidante e smarrita ai giorni nostri, intenta a scovare cimeli della memoria con l’aiuto di un commesso forse già incontrato nel vortice dei secoli. Nello spettacolo il ciclo spazio-temporale rigenera di continuo la ricerca dell’altro sesso, allo scopo di sanare la frattura che ha spezzato l’antica unità “maschile-femminile”.

È lodevole il coraggio del regista veneziano, che s’ingegna a superare le trappole della letteratura, trasformando i tre interpreti in scena in personaggi che si narrano entro il vorticoso schema dell’eterno ritorno. Lo aiutano a disegnare l’ambito della memoria, osservata dal futuro, le preziose e piacevoli musiche di Gabriella Zen, che utilizzano una strumentazione mediterranea, e la collaborazione generosa per le scene e i costumi di Gaia Dolcetta e Stefano Nicolao. Strepitosi i tre protagonisti che assumono i vari personaggi: superlativa è l’arte di Stefania Felicioli, in grado di mutare personalità e fisionomia, dalla tenera Sasha all’incerta Orlando, via via fino ad un prototipo wolfiano nostro contemporaneo. Altrettanto speciale è Michela Martini, che regala al pubblico un catalogo di splendide regine, giocando sulle variazioni vocali. Agile e persuasivo risulta l’Orlando maschile di Massimo di Michele, che assorbe la delicatezza femminile persino nella parte di un commesso.







Orlando
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